Bella, ma ha una chioma che stende

Ovvero che odore ha una cometa?

 

La cometa "Chury" fotografata il 26 settembre 2014 da una distanza di 26.3km. Fonte: ESA/Rosetta/NAVCAM

La cometa “Chury” fotografata il 26 settembre 2014 da una distanza di 26.3km. Fonte: ESA/Rosetta/NAVCAM

 

Nel corso della storia sono state oggetto di curiosità e timore, spesso considerate premonitrici di epidemie o di calamità naturali, per lungo tempo scienziati, intellettuali e gente comune hanno interpretato la loro apparizione nei modi più originali, attribuendo loro ogni tipo di significato mistico, magico e religioso. Fu d’altra parte una cometa, nella tradizione cristiana, a guidare i re magi.

Galileo – tipo tosto, meglio non contraddirlo – ebbe più di un diverbio sulla natura delle comete: era convinto, sbagliando, che fossero semplici effetti ottici e iridescenze generati dalla riflessione dei raggi solari. Nel 1618 ne furono avvistate ben tre e interpretate – alla luce della peste e delle sanginose guerre abbattutesi sull’Europa – come portatrici di presagi infausti. Alcuni formularono diverse ipotesi sulla loro origine. Tra questi c’era anche il gesuita Orazio Grassi, il quale, convinto si trattasse di veri e propri corpi celesti in orbita, espose la sua teoria ne la Libra Astronomica e subito si beccò la replica pungente di Galileo. Il Saggiatore, dal nome del bilancino di precisione usato dagli orefici e scelto in contrapposizione sarcastica alla rozza bilancia – libbra – di Grassi, è una delle opere più importanti di Galileo per la forza espressiva della sua lingua, un italiano comprensibile a tutti invece del latino, e per l’esposizione del metodo scientifico: la spiegazione di un fenomeno va accompagnata con una serie di osservazioni coerenti e riproducibili, e supportata da fatti e misure anch’essi riproducibili. Non si può enunciare nessuna teoria se non è supportata dalla prova dei fatti.

A distanza di secoli e di ricerche scientifiche oggi sappiamo come è fatta una cometa. Non solo, possiamo porci anche un’altra domanda che forse avrebbe fatto sobbalzare lo stesso Galileo, ma alla quale gli scienziati di oggi possono dare una risposta, scientifica: che odore ha una cometa?

Beh, diciamo così, annusarla probabilmente non è romantico come guardarla in cielo, ma ha carattere: una stalla per cavalli, o meglio pipì di cavallo (colpa dell’ammoniaca), uova marce (per la presenza di acido solfidrico) e un opprimente tanfo di formaldeide. Metteteci poi un cuore amarognolo tipo mandorla derivante dall’acido cianidrico e delle note di testa a base di diossido di zolfo, con quell’aroma un po’ di aceto, la nota alcolica del metanolo e il vago sentore dolciastro del solfuro di carbonio. Voilà, eau de comète.

Pensare poi a come gli scienziati ci sono arrivati a queste informazioni è pure affascinante, e a suo modo poetico: un progetto europeo spaziale, in tutti i sensi, ha permesso di lanciare in orbita una sonda, Rosetta, che lo scorso 6 agosto ha raggiunto la cometa Churyumov-Gerasimenko, “Chury”. Il sensore ROSINA (Rosetta Orbiter Sensor for Ion and Neutral Analysis) è dotato di due spettrometri di massa e sta sniffando in lungo e in largo la chioma della cometa. Dall’analisi delle melecole presenti è possibile capire la sua composizione chimica e quindi anche il suo odore. Le molecole odorose sono a concentrazioni molto basse e si trovano sospese in un misto di acqua, anidride carbonica e monossido di carbonio. Si trova a 400 milioni di chilometri di distanza dal sole eppure la chioma della cometa ne è ricca, cosa sorprendente per i ricercatori perché a quelle distanze di solito le sostanze più volatili sublimano senza lasciar traccia. Dalla composizione di questi mix, odorosi e non, sarà possibile capire meglio come si è formato il sistema solare, e quindi anche la Terra. Con Rosetta potremo seguire per la prima volta l’evoluzione di una cometa mentre si avvicina al sole e studiare come si sviluppa la sua chioma, quali gas e polveri emetterà e come.

E chissà quali altre puzzette sprigionerà. Non è poetico?

 

 

Bonus

 

Pulsano pulsar con forti pulsioni:

ecco a voi quasar, quasi stelle vive:

collassano assai dense, per pressioni

che imbucano per sempre, in nere rive:

 

così  forse è: facelle in evezioni,

sciami di nebulose fuggitive,

supergiganti, code in librazioni,

variabili cefeidi recidive:

 

protuberanze, e getti, e radiazioni

corpuscolari, eclissi comprensive

di pieni pianetini e pianetoni,

aurore ipercompresse in somme stive:

 

oh, chiare notti gravitazionali,

mie fragili scintille zodiacali!

(Edoardo Sanguineti, Sonetto astrale, 10 ottobre 2008).

Odori… spaziali

Galactic Center Region in X-rays from Chandra
Source: Hubblesite.org

Un misto di carne bruciata e polvere da sparo, questo pare sia l’odore dello Spazio. A dispetto dell’idea romantica che possiamo avere di un viaggio attorno alla Terra, dei pianeti e degli infiniti spazi siderali, stando alle testimonianze degli astronauti lassù, al di là delle nuvole, non deve esserci proprio un gran profumo.
Chiariamo però prima una cosa, non è possibile semplicemente andare in missione e una volta in orbita metter fuori il naso e dare una bella sniffata. Per ovvi motivi legati anche all’assenza di atmosfera in quelle condizioni non si può respirare, figuriamoci mettersi ad annusare in giro. Quindi come si fa a sapere che odori girano nello spazio? Bisogna basarsi su misure indirette. La principale fonte di informazioni sono le analisi chimico-fisiche e il rilevamento degli elementi chimici presenti nello spazio intorno all’orbita terrestre, o in altre aree di interesse.

L’odore intorno alla terra

Come dicevo gli astronauti affermano spesso che dopo un’escursione nello Spazio quando rientrano nella navicella spaziale e tolgono il casco sentono un odore caratteristico. Posto che solitamente il vocabolario a disposizione per descrivere gli odori è sempre un po’ limitato e che si tratta di sensazioni difficili da descrivere, è comunque ricorrente la percezione di un odore metallico, di polvere da sparo o simile a quello che si sente in alcune officine e misto a puzza di carne bruciata.
Secondo gli astronomi questo odore è dovuto principalmente alle molecole di idrocarburi policiclici aromatici, sostanze prodotte durante le combustioni incomplete. Sulla Terra sono inquinanti atmosferici che derivano per esempio dalla combustione di carburanti fossili, ma possono essere prodotti anche dalla cottura ad alta temperatura di alcuni cibi, ad esempio se si fa cuocere troppo a lungo a carne sulla griglia; da qui probabilmente la sensazione simile a quella del bacon o della carne bruciata riportata dagli astronauti. Ma le combustioni avvengono anche durante la morte delle stelle, eventi esplosivi che liberano queste sostanze nello spazio dove continuano a vagare. Quando gli astronauti rientrano nella stazione aerospaziale portano con sé residui di queste molecole che, rimaste adese alle tute,  in seguito all’attrito con l’aria nella navicella generano quel caratteristico odore. Altro che polvere di stelle. Come spiega l’astrofisico Luis Allamandola, direttore del Astrophysics and Astrochemistry Lab presso il NASA Ames Research Center, è anche interessante osservare che “l’odore” del nostro sistema solare presenta alcune peculiarità: esso è particolarmente pungente perché ricco di carbonio e povero di ossigeno. Un odore insomma simile a quello che si sente quando si ha la macchina ingolfata.

La via lattea sa di lampone?

Quello che descriviamo come odore è il risultato dell’interazione tra molecole chimiche e i recettori nel nostro naso. Di conseguenza in base alla sua composizione chimica una sostanza avrà un determinato odore. Questo significa anche che in zone diverse dello Spazio, con diverse percentuali di elementi chimici, ci saranno probabilmente odori diversi.
Nel 2009 ad esempio, da uno studio di rilevamento degli elementi presenti nella nube Sagittarius B2, al centro della Via Lattea, è emerso che quest’angolo della nostra galassia potrebbe avere un’odore molto simile a quello di lampone. L’astronomo Arneau Belloche e i suoi colleghi del Max-Planck Institute for radio Astronomy di Bonn, in collaborazione con la Cornell Univerisity di New York, hanno analizzato le radiazioni elettromagnetiche emesse da Sagittarius B2. Poiché queste radiazioni dipendono dal tipo di molecole presenti nella zona considerata sono un po’ come delle impronte digitali e permettono risalire all’identità chimica dello spazio in quella regione. Dall’analisi dei dati rilevati è risultata così un’elevata percentuale di una sostanza chiamata formato di etile, un estere responsabile per esempio dell’odore del rum e, in parte, di quello dei lamponi.

Il formato di etile è un estere prodotto dalla reazione di etanolo e acido formico.Credit:  Benjah-bmm27 (public domain, Wikipedia).

Il formato di etile è un estere prodotto dalla reazione di etanolo e acido formico.
Credit: Benjah-bmm27 (public domain, Wikipedia).

Ora, sicuramente affermare che al centro della Via Lattea c’è odore di rum e lampone è un po’ esagerato, anche perché gli odori come noi li sentiamo sono il risultato della combinazione di tutte le molecole presenti in quello che annusiamo. Però chissà, volendone ricostruire l’aroma a partire dai suoi componenti chimici, vista l’alta percentuale di formato di etile, della nube Sagittarius B2 si otterrebbe probabilmente un odore con una nota dominante appunto di lampone.

Riprodurre l’odore dello Spazio: la Nasa si rivolge ai profumieri

Passando alle cose più pratiche, al di là del fatto che nella via Lattea possa o meno esserci odore di lampone, gli astronauti in missione si trovano a dover avere a che fare con un odore, sicuramente non piacevole, di bacon bruciato misto a gasolio e chissà cosa altro. Ecco perché alla NASA hanno pensato di migliorare il training degli astronauti esponendoli alle condizioni estreme della vita in una stazione in orbita, odori compresi.
Steve Pearce è un chimico creatore di fragranze che vista la sua esperienza è stato chiamato dalla NASA qualche anno fa con lo scopo di ricreare una puzza che si avvicinasse il più possibile a quella sentita dagli astronauti in orbita. Pearce ha effettivamente una certa esperienza nella creazione di puzze improbabili, anzi impossibili: è sua infatti l’installazione Impossible smells dove il chimico aveva ricreato una serie di odori appunto impossibili o inestistenti e uno di questi era l’odore della stazione spaziale russa Mir. La cosa interessante nella creazione di questo odore fu tenere conto di un dettaglio importante: gli astronauti portavano con sé in missione la vodka. Di conseguenza dopo aver bevuto sapevano di vodka anche il loro respiro e le traspirazioni corporee. L’odore riprodotto era quindi quello di piede sudato misto a alcol e gasolio. Inebriante. Dopo una performance simile alla NASA hanno pensato che Pearce fosse la persona giusta a cui rivolgersi per ricreare un odore adatto all’addestramento degli astronauti. Al momento il progetto sembra però essere fermo, non si sa se abbiano rinunciato all’impresa o sia solo questione di tempo.

Intanto i più curiosi possono optare per una candela “profumata”: le menti di Think Geek infatti hanno prodotto da poco una candela profuma-ambiente all’odore di Spazio. Non sto a dirvi che ovviamente la proverò, vi farò poi sapere come è andata :D.

PS. Per gli amanti degli intrugli casalinghe e delle sane bevute vi lascio una ricetta a tema 😉

“La Guida galattica per gli autostoppisti […] dice che la miglior bevanda alcolica che esista è il Gotto Esplosivo Pangalattico. Dice che quando si beve un Gotto Esplosivo Pangalattico si ha l’impressione che il cervello venga spappolato da una fetta di limone legata intorno a un grosso mattone d’oro. La Guida dice anche quali sono i pianeti su cui servono i migliori Gotti Esplosivi Pangalattici, quanto costano l’uno, e quali sono le organizzazioni volontarie che possono aiutare il bevitore a disintossicarsi. La Guida insegna perfino come ci si può preparare da soli il Gotto.

Prendete una bottiglia di Liquore Janx, dice. Riempitevi un bicchiere.

Poi versatevi una dose d’acqua dei mari di Santraginus V. Ah, quell’acqua di mare santraginese!, dice la Guida. Ah, quei pesci santraginesi!!!

Fate sciogliere tre cubi di Mega-gin di Arturo nella mistura (che dev’essere opportunamente ghiacciata, altrimenti il benzene in essa contenuto va perso).

Aggiungetevi quattro litri di gas delle paludi falliane, in ricordo di quei felici autostoppisti che sono morti di piacere nelle Paludi di Fallia.

Sul retro di un cucchiaio d’argento fate galleggiare una dose di estratto d’Ipermenta Qualattina, dall’odore e dal sapore dolci, pungenti, mistici.

Aggiungete il dente di una Tigre del Sole Algoliana. Guardatelo dissolversi e diffondere il fuoco dei Soli di Algol nel cuore della bevanda.

Spruzzate un po’ di Zamfour.

Aggiungete un’oliva.

Bevete… ma … con molta attenzione… (Douglas Adams, Guida galattica per autostoppisti)