Malattie respiratorie, COVID-19 e olfatto

un questionario online e un consorzio internazionale

Screenshot_2020-04-14 GCCR

 

Continuiamo con qualche aggiornamento su olfatto e malattie respiratorie. Vi parlo di un progetto internazionale al quale ho aderito e di un questionario online a cui tutti possono partecipare a titolo volontario e che ci aiuta a raccogliere dati sulle possibili relazioni tra malattie respiratorie e alterazioni di gusto e olfatto.

In risposta alla casistica aneddodica registrata nelle ultime settimane e che riporta una perdita di olfatto e gusto in persone che hanno avuto COVID-19 (ve ne ho parlato nel post precedente), numerosi ricercatori specializzati sui sensi chimici si sono uniti per capire meglio in quali condizioni (come, quando e perché) ciò si verifichi. È nato così il Global consortium for chemosensory research (GCCR), un consorzio internazionale di scienziati che sta conducendo uno studio su scala globale per valutare le possibili relazioni tra malattie respiratorie (come per esempio COVID-19, influenza e raffreddori) e i loro effetti su gusto e olfatto.

Un modello open source

A questo progetto, diretto dagli scienziati (in ordine alfabetico) John Hayes, Thomas Hummel, Christine Kelly, Steven Munger, Masha Niv, Kathrin Ohla, Valentina Parma (Chair), Danielle R.Reed, Maris Veldhuizen, hanno aderito più di 500 ricercatori, clinici e operatori di diverso background che lavorano sui sensi chimici in 38 Paesi diversi. Si tratta di una collaborazione interdisciplinare e open source per facilitare i ricercatori di diverse discipline in diverse parti del mondo a collaborare e condividere dati, protocolli e ricerche per riuscire a studiare al meglio alcuni aspetti della relazione tra malattie respiratorie e problemi di gusto e olfatto.

Il GCCR ha creato perciò una piattaforma per condurre studi interdisciplinari e test trans-culturali su scala globale a disposizione di tutti gli scienziati che vi vogliano aderire e a tutti i pazienti che su base volontaria vogliano partecipare agli studi per sostenerne l’avanzamento.

Olfatto e gusto

Olfatto e gusto sono fortemente collegati e ciò che viene comunemente descritto come “gusto” fa in realtà riferimento al sapore o flavor di cibi e bevande, cioè la percezione combinata di gusto e aromi. Come è facile sperimentare anche durante un comune raffreddore, con il classico “naso tappato” non si percepisce bene il sapore dei cibi e così nella maggior parte dei casi i pazienti sperimentano o dichiarano un calo del gusto o del sapore anche quando in realtà si tratta di una disfunzione principalmente olfattiva. Anche per questo motivo è difficile avere una casistica accurata dell’impatto delle malattie respiratorie su olfatto e gusto separatamente.

Questa è una delle ragioni per cui il GCCR vuole investigare se la perdita di olfatto sia un sintomo frequente in caso di infezione da corornavirus e altre malattie respiratorie e se sia accompagnato anche a una perdita del gusto. Dal momento che molti aspetti del meccanismo con cui questa interazione avverrebbe e le sue modalità non sono ancora chiare servono ulteriori studi e, anche per questo motivo, l’OMS non ha ancora incluso la perdita di olfatto tra i sintomi di COVID-19.  Se c’è la possibilità che problemi a olfatto e gusto rientrino tra i sintomi di COVID-19 è ovviamente importante saperlo e documentarlo, ma per poterlo fare in modo attendibile servono numerosi dati e raccogliere il maggior numero possibile di casi clinici: è importante capire il tipo di correlazione, la diffusione e il decorso di questi eventi. Quindi più casi clinici e pazienti si registrano più elementi si hanno per fare delle stime attendibili da cui partire per fare delle ipotesi sperimentali sensate.

Questionario online

Al momento il primo obiettivo del GCCR è quello di definire e coordinare su scala globale la ricerca open-source e raccogliere, come dicevo, la casistica di malattie respiratorie come COVID-19 ed eventuali alterazioni di gusto e olfatto.

Per questo motivo è stato formulato un questionario online rivolto a tutti i pazienti che hanno o hanno avuto malattie respiratorie. Il questionario è disponibile sul sito ufficiale del GCCR in inglese, tedesco, italiano, francese, spagnolo e verrà presto tradotto in altre lingue. È su base volontaria e si compila in 15 minuti circa.

Il questionario, come è spiegato nella sua introduzione, non ha scopo diagnostico o di trattamento, ma serve agli scienziati per raccogliere informazioni sul tipo di sintomi che i pazienti con malattie delle vie respratorie presentano in relazione a olfatto e gusto.

Vi lascio qui sotto tutti i link e i riferimenti e se vi va diffondete il questionario a tutte le persone alle quali pensate possa interessare (Grazie!).

 

Contatti e informazioni:

Qui trovate il sito ufficiale GCCR (in inglese),

dove c’è anche il link per fare il questionario: basta che cliccate su “italiano” e poi sulla freccina in basso a destra; il sito è in versione beta e stanno lavorando sul suo miglioramento per cui l’estetica al momento è basica ma si è preferito renderlo subito accessibile per velocizzare i tempi di raccolta dei dati.

Per ulteriori informazioni potete scrivermi: smelling@perfectsenseblog.com

mentre questa è l’email del consorzio: gccr.italia@gmail.com

Potete poi seguire il GCCR sui social

twitter: https://twitter.com/GCChemosensoryR

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#GCCR #gusto #olfatto

e come al solito i miei aggiornamenti su Instagram.

Covid-19 e olfatto

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Tra i possibili sintomi dell’infezione da Covid-19 potrebbero esserci perdita e disfunzioni di olfatto e gusto. Gli scienziati pero’ non ancora un quadro chiaro della situazione.

Lo scorso venerdì 20 marzo 2020 la professoressa Claire Opkins, presidentessa della British Rhinological Society e il professor Nirmal Kumar, presidente dell’associazione di otorinolaringoiatria britannica, hanno mandato una dichiarazione al Public Health England, l’agenzia del Dipartimento della sanità e dell’assistenza sociale nel Regno Unito. In questa lettera i medici mettevano in risalto un aumento dei casi di anosmia e disfunzioni di gusto e olfatto correlata all’infezione da coronavirus allertantando le autorità a cercare di fare i test nei pazienti che riportano problemi olfattivi, anche senza altri sintomi di infezione delle vie respiratorie, perché potrebbe trattarsi di un sintomo collegato a Covid-19. La notizia è stata ripresa da diversi giornali internazionali, tra i quali il New York Times, e si aggiunge a commenti analoghi pubblicati la scorsa settimana su alcuni quotidiani europei.

Che una malattia delle vie respiratorie possa avere tra i sintomi problemi a olfatto e gusto non dovrebbe sorprendere poiché le funzionalità olfattiva e nasale sono strettamente collegate. In questo caso però siamo di fronte a una malattia nuova, gli scienziati e i medici stanno, di fatto, conoscendo ora, sul campo e con i malati, il suo decorso e il comportamento del virus, quindi ogni nuova osservazione e sintomo va registrato perche’ contribuisce a dare il quadro generale della situazione.

I sintomi

Come riportato dal virologo Hendrik Streeck, dell’istituto di virologia dell’Universitätsklinikum di Bonn la scorsa settimana al quotidiano tedesco Franfurter Allgemeine, dei circa 100 pazienti con Covid-19 visitati da lui e il suo team, i due terzi riportava anche problemi a olfatto e gusto. Casi simili sono stati riportati anche dai medici in Corea del sud, Iran e in Italia Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell’Ospedale Sacco, ha confermato in un’intervista al Corriere la scorsa settimana osservazioni analoghe.

I sintomi principali sono una perdita totale di olfatto e gusto, che compaiono spesso durante le fasi di guarigione dalla malattia. Tuttavia, altri medici, tra i quali Opkins nel Regno Unito fanno invece notare che questi sintomi potrebbero essere anche presenti in pazienti senza altre sintomatologie.

Olfatto e gusto

La percezione degli odori avviene grazie alla stimolazione dei recettori olfattivi localizzati sul fondo della cavità nasale da parte delle molecole odorose presenti nell’aria che respiriamo. I recettori olfattivi sono proteine specializzate a riconoscere le molecole odorose e si trovano sulla superficie di neuroni, chiamati per questo olfattivi, localizzati nell’epitelio olfattivo nel naso. Dal naso i neuroni olfattivi mandano i propri prolungamenti nervosi (assoni) al bulbo olfattivo nel cervello.

Le molecole odorose possono però raggiungere l’epitelio olfattivo anche dalla bocca per una via chiamata retronasale. In questo modo gli aromi sprigionati da cibi e bevande raggiungono il naso creando quell’arricchimento sensoriale e aromatico che siamo genericamente abituati a definire gusto, ma che in realtà dipende principalmente dall’olfatto.

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Via olfattiva “diretta” (ortonasale) e retronasale. le molecole odorose (disegnate in blu e arancione) raggiungono la parte piu’ profonda della cavita’ nasale stimolando i neuroni olfattivi che mandano il segnale al cervello.

 

Questo è uno dei motivi principali per cui chi accusa problemi all’odorato, non sente bene il sapore dei cibi. Un effetto che chiunque abbia avuto un forte raffreddore e naso tappato avrà probabilmente sperimentato.

Possibili alterazioni dei sensi chimici

Al momento non sono ancora disponibili studi scientifici sistematici sulla possibile azione di Covid-19 sul sistema olfattivo e i medici hanno fatto notare che per ora si tratta solo di osservazioni personali. Questo è ragionevole poiché la pandemia è in corso e si stanno ancora raccogliendo i dati clinici man mano che i pazienti vengono esaminati e curati. Tuttavia è possibile fare alcune ipotesi che gli scienziati dovranno poi verificare sperimentalmente.

Alterazioni indirette

Dal momento che si tratta di una malattia delle vie respiratorie, molti pazienti sviluppano anche infiammazione delle vie respiratorie e congestione delle mucose nasali. Queste infiammazioni, così come l’ostruzione delle vie respiratorie, potrebbero contribuire a danneggiare l’epitelio olfattivo, come avviene anche in altri tipi di infezioni, riniti e influenze, e quindi compromettere le funzioni olfattive a vari livelli.

Azioni dirette all’epitelio olfattivo

Analogamente a quanto riportato nel caso di altri virus influenzali, Covid-19 potrebbe essere presente anche nelle mucose nasali e delle alte vie respiratorie e in questo modo interagire direttamente con le cellule dell’epitelio olfattivo alterandone la funzione. In questo caso alterazioni dell’olfatto potrebbero verificarsi anche senza apparenti infezioni o congestioni tipiche di altre sindromi influenzali. Questo è un punto importante perché, come fatto notare da Opkins e Kumar, pazienti con un’infezione da Covid-19 ma senza altri sintomi potrebbero pensare di avere solo un problema olfattivo e andare dall’otorinolaringoiatra senza sapere di essere contagiosi ed esponendo quindi anche i medici al rischio di infezione.

Azioni dirette alle terminazini nervose e ai nervi olfattivi

Inoltre il virus potrebbe avere accesso anche alle terminazioni nervose libere presenti nella mucosa olfattiva e nella bocca.

Naso e lingua, infatti, oltre ai recettori specializzati per olfatto e gusto hanno anche terminazioni del nervo trigemino e del nervo vago, sensibili a stimoli dolorosi, al caldo e al freddo, ma anche a molecole odorose e contribuiscono anche loro in parte alla percezione olfattiva e gustativa. Come altri virus influenzali, anche Covid-19 potrebbe alterare la loro funzione.

Infine, come messo in evidenza in un breve articolo pubblicato sulla rivista scientifica ASC Chemical Neuroscience a inizio marzo, vi è la possibilità che Covid-19 abbia accesso al cervello passando attraverso il collegamento tra epitelio olfattivo e bulbo olfattivo. Alcune evidenze sui roditori hanno mostrato che nel caso di altri coronavirus questo è possibile, anche se difficile, ed è perciò necessario svolgere ulteriori studi per scoprire se avvenga anche con Covid-19.

Sintomi correlati

Accanto alla perdita totale dell’olfatto ci potrebbero essere anche altre alterazioni come percezione alterata degli odori, pantosmia e cacosmia. Nei fenomeni di pantosmia, seppur molto rari, il paziente ha allucinazioni olfattive e percepisce odori per lo piu’ sgradevoli che non sono realmente presenti. In altri casi, come la cacosmia, odori altrimenti normali sono percepiti come puzze. Spesso vengono percepiti odori metallici, di gas o di uova marce. Sull’origine di queste sindromi gli scienziati hanno diverse ipotesi, tra le più accreditate quella che si tratti di problemi nella rigenerazione dei neuroni olfattivi o nel turnover dei recettori.

Possibile decorso

Al momento gli scienziati non possono dire come questa condizione possa evolvere nel tempo e se i pazienti possano poi recuperare l’olfatto.

Compatibilmente con quanto è già noto dalla comunità scientifica, questo tipo di disturbi con il tempo passa e i pazienti dovrebbero recuperare la funzione, anche se molto dipende dall’entità del danno. In ogni caso è normale che il recupero sia lento, considerato che anche fisiologicamente i tempi di rigenerazione dei neuroni olfattivi sono di 30-60 giorni. Il recupero quindi potrebbe richiedere molti giorni, fino a settimane e nei casi piu’ gravi mesi, e’ quindi importante che i pazienti siano consapevoli di questa eventualita’ perche’ fa parte del normale decorso dei disturbi olfattivi. In questo caso possono a volte essere di aiuto stimolazione e training olfattivo che, a livello pratico, significa esercitarsi quotidianamente ad annusare e riconosce gli odori.

 

Articoli e fonti usati questo post:

  • Mannan Baig et al.,Evidence of the COVID-19 Virus Targeting the CNS: Tissue Distribution, Host–Virus Interaction, and Proposed Neurotropic Mechanisms. CS Chem. Neurosci. March 13, 2020.
  • Djuspeland et al., Accessing the brain: the nose may know the way. J Cereb Blood Flow Metab. 2013 May; 33(5): 793–794.
  • Desforges et al. Human Coronaviruses and Other Respiratory Viruses: Underestimated Opportunistic Pathogens of the Central Nervous System. 2019 Dec 20;12(1). pii: E14. doi: 10.3390/v12010014.

e dai giornali:

  • L’intervista originale a Hendrik Streeck pubblicata il 16.03.20 sul Frankfurter Allgemeine
  • L’articolo sul The New York Times del 23.03.20
  • L’articolo sul Corriere con L’intervista a Massimo Galli
  •  Le raccomandazioni riportate sul sito inglese Fifth Sense con la citazione della lettera di Opkins e Kumar.
  • Oggi anche Il post, sempre sul pezzo, ha fatto un riassunto della situazione.

Se mi seguite su Instagram @Il_senso_perfetto anche li’ la settimana scorsa avevo fatto degli spiegoni salvati nelle storie in evidenza.

Giornata Internazionale dell’anosmia

 

Oggi è la giornata internazionale dell’anosmia (Anosmia awareness day) e dei disturbi legati all’olfatto. Lanciata nel 2012, ha lo scopo di far conoscere alle persone i disturbi e le patologie legate all’olfatto poiché non se ne parla molto e, anzi, spesso non si sa neppure esistano.

Gli scienziati calcolano che circa il 2-5 % della popolazione sia anosmico, cioè non può sentire gli odori. Questo dato è probabilmente una sottostima perché capita sovente che i disturbi legati all’olfatto non vengano riportati: da un lato alcuni pazienti, soprattutto anziani, non vanno dal medico perché non pensano sia importante o addirittura non si accorgono completamente del defict; altre volte i disturbi non vengono riconosciuti chiaramente. Inoltre, anche quando il disturbo è riconosciuto spesso non si sa come affrontarlo, cosa fare e dove reperire le informazioni che qualche volta mancano anche ai medici. Ecco uno dei motivi per cui è nata questa giornata: far conoscere il disturbo e fare della corretta informazione sul tema.

Tra le principali ragioni per cui il senso dell’olfatto viene perso o alterato ci sono l’invecchiamento, incidenti e infezioni e vi sono alcuni rari casi in cui l’anosmia è congenita e quindi presente dalla nascita. Spesso, la perdita dell’olfatto è legata al normale processo di invecchiamento, ma è correlato anche a demenze senili e ad alcune malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer nelle quali alcune evidenze scientifiche indicano che la perdita dell’olfatto in questi pazienti compare precocemente.

Nelle persone più giovani invece la perdita dell’olfatto avviene principalmente in seguito a incidenti in cui si è battutto la testa o a forti infiammazioni e riniti. Purtroppo il recupero non sempre avviene, in alcuni casi un lungo training olfattivo può aiutare, ma ci vuole molta pazienza perché il recupero richiede mesi e a volte anni.

Per i pazienti questa condizione è particolarmente frustrante perché spesso i disturbi olfattivi sono considerati secondari: fino a quando non si perde non si comprende l’ importanza dell’olfatto.

L’olfatto ci connette alla nostra identità più intima, attraverso l’odore abbiamo una continua connessione con noi stessi che gradualmente viene meno quando non sentiamo più gli odori. Ne risentono le relazioni intime con il partner e anche il cibo perde buona parte del suo gusto poiché gli aromi che comunemente associamo al palato dipendono in larga parte dell’olfatto. Inoltre non poter sentire gli odori porta molte persone a sviluppare piccole (grandi) ossessioni perché non possono riconoscere quando puzzano, se ci sono odori sospetti come di bruciato nella stanza, e possono apprezzare meno i cibi. Tutto ciò può generare un profondo disagio psicologico che può portare anche a depressione e disturbi dell’alimentazione.

Accanto alla perdita totale dell’olfatto vi sono poi numerose altre alterazioni che vanno dalla cacosmia (gli odori vengono percepiti come sgradevoli) alla pantosmia o sindrome dell’odore fantasma, quando cioè si sentono puzze che in realtà non ci sono. Nel libro ho chiamato “L’odore fantasma” il capitolo dedicato ad anosmia e alterazioni dell’olfatto proprio perché le patologie legate all’olfatto sono innumerevoli, spesso poco note e, di fatto, aleggiano come fantasmi che invece dovremmo poter riconoscere e affrontare.

 

Bonus

Sui siti (in inglese) Anosmia awareness day a Fifth sense trovate numerose informazioni e risorse.

Per chi bazzica Instagram invece cerchero tra oggi e domani di pubblicare alcune storie sull’anosmia e i disturbi dell’olfatto, se vi va seguitemi anche lì, dove pubblico contenuti video  più frequentemente.

Bagni per tutti

 

Tomkins-Gold-Toilet Maurizio Cattelan

Il  water dorato di Maurizio Cattelan per il Guggenheim Museum di New York.

 

Quale occasione migliore per riprendere ad aggiornare il blog se non la giornata mondiale della toilette.

Se penso al bagno, penso ai viaggi. Penso a tutti i posti improbabili in cui capita di trovarsi a fare pipì o, peggio, cacca quando si è in giro o proprio nei momenti meno opportuni. I bagni nei baretti sgangherati in cui si entra e si chiede un caffè di cortesia, quelli delle stazioni, degli aeroporti, degli autogrill – e quanto sono diversi a seconda della regione e del Paese in cui ci si trova? – i bagni sulle barche a vela, quelli sui treni; nei ristoranti, negli alberghi, quelli in cui entri e vorresti camminare levitando, e quelli che li vedi e sono più grandi del tuo salotto. Io poi, e sono sicura di non essere l’unica, ho una passione per i bagni giapponesi: già dagli anni Ottanta iniziarono a fare i WC accessoriati con funzioni come le fontanelle per lavarsi subito dopo, restando seduti sulla tazza. Si potrebbe pensare a una cosa scomoda, o in verità poco igienica, o strana, ma bisogna provare. Quando l’asse è pure riscaldato poi, non ne parliamo.

A seconda del continente, dello Stato, della cultura e della religione le abitudini e i modi di andare in bagno cambiano, e cambia il tipo di dispositivo usato: la tazza, la “turca”, e svariate forme intermedie, talvolta anche senza acqua corrente. Ecco, perché acqua corrente e water con sciacquone non sono roba che hanno tutti. In molti posti dell’Asia orientale, per esempio in Cina, fino a pochi anni fa, non era uso comune neanche avere i bagni in casa, si usavano quelli pubblici. Fatti spesso più a latrina che a bagno come lo intendiamo in Occidente, di solito con delle turche messe in fila, senza porte (come anche, per esempio, in certe zone in Sudamerica), erano talvolta organizzati con dei semplici vani a fossa, senza acqua corrente. E immaginate l’odore. Questa cosa, tra l’altro, creò numerose pressioni in occasione delle olimpiadi di Pechino nel 2008, perché la città, e soprattutto i bagni pubblici, non erano conformi agli standard internazionali. Quello fu uno dei propulsori per implementare, almeno nei grossi centri e città, un ammodernamento non solo dei servizi pubblici, ma anche delle abitazioni, iniziando a fare i bagni negli appartamenti.

 

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Bagno pubblico “vecchio stile” in Cina

 

Ad ogni modo, come si legge sul sito del World Toilet Day (il giorno mondiale della tiolette), al mondo ci sono ancora circa 4.2 miliardi di persone senza un cesso.

Il vocabolario Treccani riporta la seguente definizione di “cesso”:

“(pop.) [locale, spec. modesto, in cui si trovano i servizi igienici] ≈ bagno, (volg.) cacatoio, gabinetto, latrina, orinatoio, (volg.) pisciatoio, (disus.)…”

Per capirci, a quei 4,2 miliardi di persone non manca la toilette, o il bagno giapponese, e neanche il water come lo intendiamo e usiamo comunemente dalle nostre parti. A quei miliardi di persone – quasi la metà della popolazione mondiale – manca qualcosa che è vagamente definibile dal “cesso” in giù: non hanno un posto in cui espletare le proprie funzioni fisiologiche definibile almeno come latrina, e che sia sicuro e in condizioni igienico-sanitarie sufficienti a non prendersi diarrea, colera o simili solo a guardarli. Figuriamoci poi annusarli (a questo ci torniamo dopo). Inoltre, almeno un miliardo di loro, la fa all’aperto direttamente.

Ecco il perché di questa giornata, fatta nascere dall’organizzazione mondiale della toilette, un organismo no-profit sostenuto anche dalla Nazioni Unite e fondato nel 2001. Lo scopo è promuovere e sensibilizzare alla diffusione e all’uso di strutture e servizi sanitari adeguati, perché non avere servizi igienici funzionanti e puliti favorisce la diffusione e la trasmissione di malattie contagiose, e rende anche la qualità della vita in generale molto più bassa. Come al solito, le fasce più colpite sono quelle più vulnerabili: i bambini piccoli, che sotto i 5 anni muoiono come mosche per semplici diarree; anziani; persone già malate, che quindi si aggravano; e poi donne e ragazzine. Per le persone di sesso femminile, infatti, si tratta anche di “gestire” la questione mestruazioni, che, in teoria, non dovrebbe rappresentare proprio nessuna questione, ma che di fatto diventa un problema logistico e psicologico non da poco quando ci si trova in posti in cui è difficile cambiarsi, lavarsi, avere una certa privacy e magari le stesse mestruazioni sono stigmatizzate culturalmente. E in molte regioni, come in Africa o in India, l’abbandono scolastico delle ragazzine passa anche per la mancanza di servizi igienici adeguati nelle scuole.

In diverse regioni, inoltre, la mancanza di strutture adeguate genera un circolo vizioso: i bagni ci sono, ma sono fatiscenti e hanno cattiva manutenzione, diventano sporchi e puzzolenti, le persone perciò preferiscono farla nei campi invece che usare questi bagni, e farla all’aperto contribuisce a rendere le aree abitate poco salubri e la diffusione di malattie.

Bill Gates e le toilette che profumano

Preso atto di questa situazione, nel 2016 Bill Gates annunciò di voler sostenere la causa con un progetto per limitare la puzza dei bagni, e quindi incentivare le persone a usarli. L’intento è lodevole, ma va analizzato.

Il progetto era quello di produrre, in collaborazione con Firmenich, una delle principali aziende mondiali di profumi e aromi, una “contro-puzza”, un odore cioè capace di azzerare l’effetto della puzza prodotta da feci e urine. A sua detta funzionerebbe andando a disattivare i recettori olfattivi sensibili alle principali molecole della puzza di feci: indolo, p-cresolo, acido butirrico e dimetil trisolfuro (il mix riprodotto in laboratorio per testare la puzza e come neutralizzarla).

Potrebbe funzionare?

Se sapessimo davvero come “disattivare recettori specifici per precisi odori, forse sì. C’è solo un piccolo dettaglio: quasta cosa gli scienziati non hanno ancora capito come farla, anzi se ci riuscissero probabilmente salterebbe fuori un altro Nobel.

Come ho spiegato in diverse occasioni, per quasi nessuna molecola odorosa esiste un recettore olfattivo specifico, e peraltro molti recettori sono ancora “orfani”, cioè non si è ancora scoperto da quali molecole vengono attivati. L’attivazione dei recettori da parte delle molecole odorose funziona un po’ come la combinazione di una cassaforte perché ogni molecola è di solito capace di legarsi con diverse affinità a più recettori. Il messaggio “odore” viene generato, nel cervello, dopo che è avvenuta questa attivazione combinatoria. Se avessimo la tastiera di un pianoforte e ogni tasto corrispondesse a un recettore, si tratterebbe – nella visione di Gates – di silenziare alcuni tasti, però con l’olfatto non si può fare, anche perché appunto non si saprebbe cosa silenziare e comunque ogni singolo tasto non corrisponderebbe a un singolo odore.

I metodi per “disattivare” momentaneamente i recettori olfattivi non sono specifici e semplicemente non fanno sentire più nessun odore, come alcuni spray allo zinco che si usano in ambito medico o per esperimenti particolari. Non si può cioè avere una sostanza da annusare semplicemente, se la si annusa si genererà una risposta olfattiva e si sentirà più o meno tutto.

Altra faccenda è tentare di mascherare gli odori con altri. In questo caso si può ipotizzare che le ricerche cerchino di sviluppare, per esempio, molecole capaci di legarsi a quelle odorifere per modificarle. Semplificando, se la molecola puzzosa reagisce con un’altra, si genera per esempio un’altra molecola, diversa, che magari non puzza o puzza meno. Purtroppo però, per questioni aziendali e di mercato, i dettagli di queste ricerche non sono disponibili. Quindi per il momento non rimane che attendere, con un sano scetticismo.

Meno puzza, più bagni?

E poi siamo sicuri che eliminare il cattivo odore, da solo, incentiverebbe l’uso dei bagni?

Verrebbe da dire di sì, ma anche in questo caso vorrei sollevare alcune considerazioni: come ben dimostrato dalla questione dei bagni in Cina (solo per riprendere l’esempio di prima), e da numerosi esperimenti e ricerche, alla puzza ci si abitua e se diventa un elemento quotidiano la soglia di sopportazione si alza. Se però le condizioni sono di generale fatiscenza e sporcizia, è ragionevole pensare che abituarvisi sia più difficile. Inoltre, in molti casi l’ostacolo è di tipo infrastrutturale e sociale, e manca spesso un’adeguata informazione ed educazione sanitaria. Questioni alle quali appunto lavora l’organizzazione per la toilette e altri organismi delle Nazioni Unite.

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Insomma, è importante che i bagni siano puliti, sicuri e accessibili a tutti, certo se poi profumano anche…

Bonus

Sui bagni nel tempo antico:

McMahon, A. in Sanitation, Latrines and Intestinal Parasites in Past Populations (ed. Mitchell, P. D.) 1940 (Routledge, 2015).

Jansen, G. C. M. et al. (eds) Roman Toilets: Their Archaeology and Cultural History. BABESCH Suppl. 19 (Peeters, 2011).

Siccome la questione è critica anche sul piano energetico ed ecologico, si parla di sistemi efficienti per creare bagni accessibili a tutti anche in “Trash – tutto quello che dovete sapere sui rifiut” di Alessandra Viola, Piero Martin (Codice Edizioni).

Invece di puzza, bagni cinesi e del perché non tutti siamo disturbati dalle stesse puzze ne ho parlato anche nel mio libro 😉

L’uomo che sapeva di pesce – If you stink like a fish

 

Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita

(Prospero: atto IV, scena I)

Probabilmente molti di voi conosceranno, in una qualche forma, questa citazione dal dramma teatrale “La tempesta” di William Shakespeare. Eppure quest’opera dovrebbe essere ricordata anche per un’altra citazione suggestiva, almeno per chi è interessato a puzze e odori, e a malattie rare.

Siamo nell’atto II e Trinculo, grezzo ubriacone, parla senza giri di parole – figuriamoci delicatezza – dello schiavo Calibano:

E qui che cosa abbiamo? Un uomo o del pesce? Vivo o morto? Pesce: puzza come il pesce; un tanfo di pesce che è lì da anni; puzza come un vecchio nasello

(Calibano: atto II, scena II; mia traduzione libera dal testo inglese, vedi sotto)

E ora mettetevi nei panni del povero Calibano, ché già non è che se la passasse proprio bene: era uno schiavo caraibico, ed era affetto da alcune deformità. Inoltre, il suo corpo emetteva per davvero odore di pesce andato a male. Una condizione che, secoli dopo, verrà conosciuta e descritta dai medici come – indovinate un po’ –  “sindrome dell’odore di pesce” (Fish-odour syndrome) o trimetilaminuria. È una malattia genetica rara e le persone con questa sindrome hanno sudore, alito, pipì e liquidi corporei in generale, caratterizzazzati da un odore molto forte spesso descritto come quello di pesce guasto, uova rancide, urina. È una condizione che non procura danni o impedimenti fisici se non il fatto di puzzare terribilmente, e questo, invece, sì determina diversi problemi, che si ripercuotono sulla vita sociale e talvolta anche sulla salute psicologica dei pazienti.

Essendo, come dicevamo, una malattia piuttosto rara, ed avendo come quasi unico sintomo la puzza, è spesso ancora oggi difficile da diagnosticare (i test per diagnosticarla ci sono, ma fino a poco tempo fa non era molto nota e nessuno pensava a questa possibilità, e quindi a fare il test appropriato) per cui in diversi casi riportati si è arrivati alla diagnosi esatta solo dopo anni.

Il disturbo fu descritto per la prima volta in un articolo medico uscito su Lancet nel 1970 con il titolo: “Trimetilaminuria: la sindrome dell’odore di pesce” (Trimethylaminuria: the fish-odour syndrome). In questo caso si trattava di una bambina di sei anni, affetta anche da sindrome di Turner e con una storia clinica di numerose infezioni polmonari, quindi già sotto osservazione medica. La madre riportava inoltre “l’odore di pesce” della bambina. I medici cercarono di capire a cosa fosse dovuto questo odore e, dopo diverse analisi, scoprirono che la paziente non metabolizzava bene una sostanza chiamata trimetilammina (TMA).

Intermezzo sulla puzza di pesce  

Perché il pesce dopo qualche giorno inizia ad avere un odore molto intenso? La principale responsabile è proprio lei, la trimetilammina, anche se i pesci non hanno la sindrome di cui parlavamo. O meglio, in un certo senso sì, ma da morti.

I pesci di mare vivono in un ambiente molto più salino di quello presente nei loro tessuti, così molti di loro (soprattutto gli elasmobranchi) per “bilanciare” questa differenza e mantenere il giusto equilibrio salino hanno bisogno di stoccare delle molecole chiamate osmoliti. In questo modo aumentano la pressione osmotica dei tessuti e possono “tener botta” all’ambiente iperosmotico marino. Il composto principale “stoccato” si chiama trimetilammina-N-ossido (TMAO) e deriva dalla trimetilammina. Tuttavia, quando l’animale muore TMAO viene degradato e trasformato di nuovo da batteri e altri enzimi nella nostra puzzosa trimetilammina, che conferisce al pesce “di qualche giorno” il suo caratteristico odore.

La sindrome dell’odore di pesce

Nell’uomo la trimetilammina viene prodotta, per esempio, a partire da un’altra molecola, la colina, che assumiamo col cibo. A questo punto un enzima del fegato chiamato FMO3 (Flavina-monossigenasi-3) trasforma la trimetilammina in TMAO. Se per qualche ragione l’enzima FMO3 non funziona bene o nasciamo con una mutazione genetica che lo rende difettoso, la trimetilammina non viene trasformata e rimane a piede libero, dando alla persona l’aroma di pesce vecchio.

La diagnosi di solito si fa misurando la concentrazione di trimeltilammina e TMAO nelle urine, e nel caso i livelli di trimetillammina siano molto alti, si fa un test genetico. Come dicevamo la trimetilamminuria è una malattia genetica, autosomica recessiva, piuttosto rara e, anche per questo, a volte non facile da diagnosticare. Tuttavia, anche se è stata descritta in modo chiaro solo negli anni Settanta del secolo scorso, diversi documenti storici, e letterari, fanno a volte riferimento aneddottico a quadri clinici che fanno pensare a una sindrome come quella dell’odore di pesce. Uno di questi esempi è appunto il nostro Calibano, citato da Shakespeare.

Il trattamento del disturbo non prevede ancora, purtroppo, una vera cura, ma solo metodi per controllare la puzza. Il principale è fare attenzione all’alimentazione, cercando di ridurre i cibi ricchi di trimetilammina, come pesce di mare e crostacei, e altri alimenti ricchi di suoi precursori, come la colina. Con quest’ultima però la faccenda è complicata: la colina è importante per il corretto funzionamento delle cellule e del sistema nervoso, e particolarmente importante durante la gravidanza e lo sviluppo embrionale, perciò una sua carenza può causare gravi disturbi.

Bonus

Gli aneddoti più o meno folkloristici che descrivono casi simili alla sindrome dell’odore di pesce nel corso della storia sono diversi. Prima di Shakespeare anche altri vi avevano fatto riferimento. Nel testo indiano Mahabharata (1000 A.C.), per esempio, si narra di una giovane donna, di nome Satyavata, costretta al confino e all’isolamento per via del suo odore “di pesce” per l’appunto. Ma anche in diversi racconti della tradione Thai si fa riferimento, di tanto in tanto, a personaggi con lo stesso problema. Per tornarre in Europa invece, un altro testo interessante è il “Nature of aliments” (1735) di John Arbuthnot, scienziato che in questo trattato su cibo e nutrizione fa riferimento esplicito ai possibili effetti del mangiare troppo pesce e al fatto che gli abitanti dei posti di mare che si cibano quasi esclusivamente d pesce spesso hanno anch’essi quell’odore. Ovviamente non possiamo sapere se in questi casi si trattasse davvero di individui affetti dalla vera sindrome dell’odore di pesce, o altro, ma ile descrizioni danno spazio alle speculazioni.

If you stink like a fish

We are such stuff as dreams are made on, and our little lifeis rounded with a sleep.

(Prospero, IV.I.148–158)

You all probably know this quote from The tempest by William Shakespeare, what you might not know is that, within the same play, odor-hunters and morbid- nerdy lovers can found some little treasures as well.

Take this moment, for example, act II, scene II, the rude jester Trinculo refers to Caliban, a deformed slave from Caribbean islands, as following:

What have we here? a man or a fish? Dead or alive? A fish: he smells like a fish; a very ancient and fish-like smell; a kind of not of the newest Poor John

(The Tempest II. II. 26–29)

Surely not respectful, nor sympathetic, the description holds, indeed, some true: Caliban did actually smell like a fish.

We could speculate he was affected by a genetic disorder, lately in the Twenty century described – guess how – as “fish-odour syndrome” or trimethylaminuria. The disease is not mortal, yet affects severely the quality of life of the person who carries the disorder: sweat, breath, pee, and all its body fluids have a smell often described like rotting fish, eggs, urine. That implies possible difficulties in social interactions, law self-esteem, and in some cases psychological issues.

Short digression on the smell of fish

Did you ask yourself why, after all, fish start to stink that way after some days? Do they also somehow suffer of such a syndrome? Well, not exactly, as far as they stay alive.

See fish live in a salty environment, and the salt-concentration is much higher than what is in their tissues. Therefore, they developed a trick in order to “counterbalance” the so-called high osmotic pressure, with high concentrations of certain compounds like amine. The main of these is the trimethylamine-N-Oxide (TMAO), an odorless compound derived from the metabolism of trimethylamine. When they die, bacteria and enzymes start to degrade TMAO back into trimethylamine, which has the characteristic fish odour.

The fish-odour syndrome 

In humans trimethylamine is usually assumed trough food like see fish and crustaceans, or as a byproduct of other substances like choline. In the liver the trimethylamine is then converted into TMAO by an enzyme called FMO3 (Flavin- monooxygenase-3). When FMO3 does not work properly, or we got a genetic mutation for this enzyme, trimethylamine remains in our body, which in turn starts to stink as rotten fish.

The first clinical case described was in 1970 on the medical journal Lancet: “trimethylaminuria: the fish-odour syndrome”. A six-year-old girl, with pulmonary infections and other diseases was under medical observation. The mother reported also the daughter had a “fish-odour”. After several analyses, it turned out the girl had a metabolic disorder and her body was releasing with the urine a huge amount of trimethylamine.

Due to the fact that is relatively rare, and most often not well known, the fish-odor syndrome has been in several patients often overlooked. Interestingly, historical anecdotes and descriptions of individuals with such conditions are presents in several cultures among millennia till our Shakespearean Caliban.

Unfortunately for the patients, the disorder has not a real cure and the unpleasant smell can be only kept under control, in certain degree, with a proper dietary. Limitation in see-food intake and food rich in choline could help.

Bonus

There are, historically, several anecdotes of people with a strong fish-like smell: in the Indian epic Mahabharata (1000BC) a women called Satyavata was forced to a solitary life because she stank like rotting fish. Similar cases are also present in Thai stories, and in Europe we find similar stories in Shakespeare’s play, and in John Arbuthnot treatise on nutrition and foods. On “Nature of aliments” (1735) he explains that certain people, like the inhabitants of see villages, due to the huge daily intake of fish they also start to stink so.

References

Mitchell SC, Smith RL. Trimethylaminuria: the fish malodor syndrome, Drug Metab Dispos. 2001 Apr;29(4 Pt 2):517-21.

Arbuthnot J.  An Essay Concerning the Nature of Aliments, 1753 , (J. Tonson, London), 3rd ed. pp 828.

Humbert JA, Hammond KB, Hathaway WE. Trimethylaminuria: the fish-odour syndrome, 1970, Lancet. Oct 10;2(7676):770-1.

Messenger J1, Clark S, Massick S, Bechtel M. A review of trimethylaminuria: fish odor syndrome,J Clin Aesthet Dermatol. 2013 Nov;6(11):45-8.

 

Sul perché ci profumiamo

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Marketing d’altri tempi…

 

Questo è il periodo dell’anno in cui, tra un regalo e l’altro, a molti capiterà di fare o ricevere un profumo. Messe da parte le due categorie principali di chi usa profumarsi e di chi i profumi non li sopporta proprio, ci sono naturalmente una varietà di comportamenti più o meno estremi, da chi si profuma solo in certe occasioni a chi ci si fa il bagno e ne cambia tre al giorno. Una domanda di fondo rimane: perché?

Perché ci mettiamo il profumo? Da un punto di vista puramente biologico la questione è interessante per diversi motivi. Gli odori, nel mondo animale, sono un importante veicolo comunicativo: si capisce se il partner è disponibile all’accoppiamento, si stanano le prede, si avverte l’arrivo di un predatore, si delimita il territorio. Non è poi raro che gli animali si mettano certi odori “di proposito”, ad esempio, rotolandosi nelle feci di un altra specie per non far sentire il proprio odore a potenziali prede o predatori, e amenità di questo tipo. Ma si è visto anche che diversi animali in cattività, scimmie comprese, se messi a loro disposizione, fanno uso di profumi umani (è stato osservato in diversi zoo, ma non si è ancora capito del tutto se il comportamento sia influenzato dallo stato di cattività). Viene quindi da chiedersi se anche per gli umani il fatto di applicarsi degli odori possa in qualche modo nascondere un retaggio evoluzionistico e quale sia il suo significato.

Il profumo dell’uomo

Dice l’uomo ha da puzzà – e in effetti la biologia ci suggerisce che il riconoscimento del partner più adatto lo si sceglie anche in base al suo odore – ma se poi il potenziale partner si mette un profumo, e quell’odore lo copre, come si fa?

L’odore del proprio corpo è quello che meglio di tutti guiderebbe in modo efficace la scelta del partner con cui metter su famiglia. Pensando cioè in termini pragmatici, dal punto di vista biologico – con qualche semplificazione per capirci – la questione più importante è riprodursi, assicurarsi una progenie sana che a sua volta riuscirà a riprodursi e quindi continuerà a tramandare il proprio patrimonio genetico. Questo è quanto. Diversi dati sperimentali suggeriscono che anche nell’uomo l’odore aiuti a individuare il partner più adatto, ossia quello con un patrimonio genetico diverso dal proprio, perché questo assicura una maggiore variabilità e un migliore “rimescolamento” genico, che mette più al riparo da tare genetiche e malattie geneticamente trasmissibili (avete presente quando ci si sposava tra cugini e metà dei parenti aveva la stessa malattia?). L’odore cosa centra: il nostro sistema immunitario e un complesso di proteine chiamato ‘complesso maggiore di istocompatibilità’ (MHC) permettono –detto in soldoni – al nostro organismo di riconoscere elementi estranei, come i patogeni, e attivarsi contro di esso per proteggerci. Da alcuni esperimenti sembrerebbe che dall’odore del corpo è possibile “sentire” se il MHC di chi abbiamo vicino è simile al nostro oppure no. Se è simile le possibilità di avere poca variabilità genica sono maggiori, quindi non sarebbe una buona scelta come parner riproduttivo; se invece ha un MHC molto diverso dal nostro è una buona scelta per la prole. I dati sperimentali indicano anche che troviamo più attraente l’odore della persona con un MHC diverso dal nostro.

Succede, però, come suggerisce in modo un po’ provocatorio Rachel Herz,  che siamo abituati a profumarci e a coprire l’odore del nostro corpo, e questo potrebbe giocare a nostro sfavore in termini di riproduzione. Dall’altro lato c’è da dire che di solito l’uso del profumo viene nella nostra società usato soprattutto a scopo edonistico e sensuale. Di solito una persona con un buon profumo è considerata più attraente e questo conferisce sicuramnete un vantaggio riproduttivo che però, potenzialmente, potrebbe non andare a buon fine.

Per quanto nell’uomo gli elementi socio-culturali e psicologici giochino un ruolo preponderante in faccende così personali, la questione solleva interrogativi interessanti e spunti di riflessione, e il dilemma sembra diventare una scatola cinese: puzzo o mi riproduco? Ma se puzzo poi non trovo un partner, quindi mi profumo, ma se mi profumo e poi non mi riproduco?

E voi che profumo usate?

 

Bonus

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Warhol nose. Credit: Chloe Effron

A proposito di profumarsi, uno che davvero ci andava giù pesante era Andy Warhol: una collezione sconfinata di profumi e deodoarnti (ancora conservata al Andy Warhol Museum di Pittsburg) ed esperimenti vari che amava fare indossando qualunque odore/profumo gli capitasse a tiro. Uno dei suoi progetti, forse meno noti, è infatti la “permanent smell collection” (collezione permanente di odori).

The Philosophy of Andy Warhol (From A to B and Back Again):

Another way to take up more space is with perfume. […] I switch perfumes all the time. If I’ve been wearing one perfume for three months, I force myself to give it up, even if I still feel like wearing it, so whenever I smell it again it will always remind me of those three months. I never go back to wearing it again; it becomes part of my permanent smell collection.

L’aromaterapia e l’effetto Forrest Gump – On aromatherapy and the Forrest Gump-effect

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Via Pinterest.

 

C’è un libro molto interessante, dell’antropologa Annick Le Guérer, che si intitola “I poteri dell’odore”. È uno dei libri “base” di chi si avvicina al mondo dell’olfatto e vuole capire meglio le componenti sociali e antropologiche legate agli odori, cosa di cui l’autrice si occupa da decenni ormai.

Ma quali sono i “poteri” dell’odore? Questa espressione fa riferimento a un sacco di cose; astraendo, e pensando un momento anche alla nostra esperienza personale, possiamo scorgere a cosa si allude: gli odori influiscono sulla nostra vita e sulle nostre sensazioni in molti modi, decisamente non trascurabili. Dagli odori ambientali in cui ci imbattiamo per strada (smog, pattumiera, erba appena tagliata, scarichi, cibo,…) a quelli individuali, dall’ascella dello sconosciuto accanto a noi sull’autobus alla pelle del nostro partner o dei nostri figli. E in tutte queste situazioni, quegli odori saranno capaci di influenzare in qualche modo il nostro stato e senso di “benessere” (nel senso comune del termine), irritarci, eccitarci, darci piacere, fastidio, e così via.

I meccanismi con cui ciò avviene sono principalmente psicologici, culturali e personali. C’è un legame molto stretto tra olfatto, emozioni e memoria, e per questo motivo se associamo un certo evento o una persona a un odore particolare, sarà poi molto facile risentendo, anche a distanza di tempo, quello stesso odore, richiamare subito alla mente quello specifico episodio o persona. Soprattutto, riemergerà la sensazione o emozione a cui li avevamo associati. Perciò, se si trattava di qualcosa di piacevole, verosimilmente quell’odore avrà per noi una connotazione positiva, viceversa, se si era trattato di qualcosa di brutto, la sensazione, anche rispetto all’odore, sarà spiacevole. Questo meccanismo è inoltre influenzato dal gusto personale, dall’esperienza e da elementi culturali, perché non tutti siamo abituati agli stessi odori. E quindi non abbiamo tutti le stesse reazioni, anzi. Da un certo punto di vista potremmo considerare l’olfatto come uno dei sensi più imprevedibili, per dirla alla Forrest Gump: non sai mai quello che ti capita.

Il fatto poi che certi odori possano colpirci a livello emotivo, insieme alla loro fugacità, li rende strumenti perfetti per inspirare la fantasia, creare suggestioni e associazioni di vario tipo. Non solo, una moltitudine di odori e aromi viene da piante, fiori e erbe chiamate, appunto, aromatiche e usate tradizionalmente in cucina, ma a volte anche a scopo cosmetico, e medicamentoso in tempi in cui non la medicina moderna non era ancora nata. L’uso da parte dell’uomo di oli e unguenti profumati, incensi e preparati odorosi risale alle prime civiltà, seppure con modalità e valenze diverse a seconda del periodo storico e delle aree geografiche. Spesso erano usati per scopi rituali e legati alla sfera del sacro, oppure per fini assolutamente profani, nei belletti e unguenti per il corpo per esempio, o, in modo più pragmatico, per coprire puzze e odori corporei in epoche in cui l’igiene personale non era tra gli usi e i costumi. Dal punto di vista sociale e antropologico, anche per via dello stretto legame associativo tra odori, emozioni e sensazioni “viscerali” di cui sopra, odori e profumi hanno assunto nel corso del tempo diverse connotazioni, prestandosi spesso, anche ad associazioni metaforiche suggestive che intrecciavano poesia, miti, leggende, arti mediche e cosmetiche.

I rimedi dalle piante

Tra l’altro, la prima farmacopea era basata su preparati vegetali, dai quali, come abbiamo imparato a fare successivamente, con il crescere delle nostre conoscenze scientifiche, è possibile a volte isolare principi attivi utili a scopo farmacologico. Avete presente l’aspirina? In passato, per curare diversi malesseri come febbre e malditesta, si usava una polvere ricavata dalla corteccia del salice bianco (Salix alba). Tra Settecento e Ottocento alcuni studiosi ne isolarono il principio attivo, contenuto nella corteccia, e la chiamarono, vedi un po’, salicina. Poi, alcuni chimici capirono come sintetizzarla in laboratorio e fu così possibile avere una resa maggiore: se ne poteva produrre molta di più di quel poco ricavabile direttamente dalla pianta, avere quindi dosi più efficaci e a prezzo decisamente inferiore. E sapendo come era fatta la salicina fu possibile, qualche tempo dopo, mettere a punto una nuova molecola, molto simile alla salicina, ma capace di dare meno effetti collaterali, l’acido acetil salicilico: era nata l’aspirina.

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Di New York Times, February 19, 1917, p. 6 (via ProQuest Historical Newspapers: “Display Ad 26 — No Title”), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3661828

 

Molte piante usate nella farmacopea di un tempo, anche se non sempre, sono piante aromatiche, e nel corso del tempo si è scoperto anche come estrarre, per distillazione o altre vie, la componente odorosa ottenendone oli essenziali. Questi di fatto sono prodotti dalle piante principalmente a scopo difensivo, o per comunicare; in effetti, diversi oli essenziali hanno un’azione antibatterica, e se usati puri sulla pelle possono anche essere irritanti. Dall’associazione tra l’effetto curativo di una pianta dovuto a un principio attivo in essa contenuto e l’idea che, magari, anche il suo odore potesse avere un qualche potere terapeutico il passo è stato molto breve. È davvero così? Facciamo un salto in laboratorio.

Aromaterapia e aromacologia

Siamo nel 1937 e René-Maurice Gattefossé, ingegnere chimico e dirigente di un’azienda di oli essenziali e profumi, pubblica il libro “Aromathérapie – les huiles essentielles hormones végétales” (éd. Librairie des sciences Girardot, 1937), coniando così il temine ‘aromatererapia’ e sostenendo il potere terapeutico degli oli essenziali, in particolare della lavanda, che la sua stessa azienda produceva. Ancora oggi l’aromaterapia è una pratica diffusa e si basa sostanzialmente sull’idea che certi oli essenziali possano svolgere un effetto terapeutico per inalazione, cioè basterebbe annusarli. Nel 1982 il Sense of smell institute, conia invece il termine ‘aromacologia’ per indicare lo studio scientifico della stimolazione olfattiva su umore, comportamento e fisiologia cercandone prove sperimentali. Mentre la prima è una disciplina basata su concetti non provati scientificamente, l’aromacologia è una branca di studi a cavallo tra la psicologia e la psicofisiologia che cerca di comprendere attraverso esperimenti controllati l’effetto psicologico degli odori e i suoi meccanismi.

Al termine “aromaterapia” per la verità sono spesso associate pratiche diverse accomunate dall’uso di erbe e piante aromatiche, e oli essenziali. Tuttavia non si tratta della stessa cosa e i loro effetti, o presunti effetti, non sono gli stessi per tutte le modalità con cui vengono usati. Per capirci, l’uso di “erbe” ed estratti per alcuni disturbi, se preparati correttamente e assunti in dosi/concentrazioni in cui effettivamente c’è il principio attivo, sono un’altra cosa. Questi di solito vengono ingeriti e quindi il corpo può metabolizzarli e mandarne il circolo il principo attivo. O nei casi di alcune pomate, essere usate in modo topico e fatte assorbire localmente dalla pelle. Attenzione, c’è da dire che a volte anche se il principo attivo a certe dosi, molto alte, avrebbe un effetto, in pratica lo si trova in concentrazioni così basse che per avere degli effetti reali bisognerebbe assumerne quantità improponibili, e che darebbero ben altri problemi. Ricordate quando vi ho parlato della teobromina nel cioccolato? È vero che può essere tossica, lo è per diversi animali, però la dose letale di teobromina per l’uomo è stimata intorno ai 1000 mg/Kg di perso corporeo. In una stecca di 100 g di cioccolato al latte ci sono circa 200 mg di teobromina. Diciamo che un uomo del peso di 70 Kg se volesse suicidarsi mangiando cioccolato dovrebbe prepararsi una merenda con 35 kg di cioccolato al latte, magari qualcosina meno se ama il fondente. Come si suol dire, è la dose a fare il veleno, e questo vale sia in senso curativo sia in senso nocivo.

L’assunzione di erbe, decotti e simili sono quindi un’altra cosa, anche se spesso sono associate ai trattamenti di aromaterapia, che prevedono invece l’uso di oli essenziali in combinazione principalmente a massaggi e sistemi di deodorizzazione.

Sedute di massaggio aromaterapico, quindi con oli essenziali, vengono spesso suggerite per disturbi di ansia, stress e affaticamento mentale/emotivo. Per capire se effettivamente gli oli essenziali in questo caso hanno un effetto specifico sono stati fatti diversi esperimenti e si è visto, in trial randomizzati, che il massaggio “da solo”, cioè senza oli essenziali, è già capace di dare benefici contro l’ansia e lo stress. Cioè, il massaggio è già sufficiente e non è l’aggiunta degli oli essenziali a renderlo efficace contro l’ansia e lo stress. L’aroma può essere un arricchimento sensoriale piacevole e in questo senso contribuire a rendere più coinvolgente l’esperienza del cliente, così come, viceversa, se gli oli usati hanno un odore che al cliente proprio non piace difficilmente l’effetto potrà essere distensivo, insomma l’effetto “Forrest Gump” è dietro l’angolo…

Tornando invece agli studi di aromacologia, c’è che effettivamente alcuni odori sono capaci di influire sull’umore e, in certi limiti, su alcuni comportamenti, ma in che modo? Bisogna cioè capirne il meccanismo. Le possibilità di fatto sono due: potrebbe esserci un’azione farmacologica oppure psicologica.

Alcuni esperimenti

Detta un po’ semplice, perché un farmaco abbia un qualche effetto deve essere assorbito dall’organismo, metabolizzato e entrare nel circolo sanguigno (non sempre in questo preciso ordine eh) in modo che possa raggiungere le cellule “bersaglio”. E perché possa essere di qualche utilità vogliamo anche che sia il più specifico possibile, idealmente che si diriga solo dove vogliamo che “faccia effetto” perché se colpisce tutto senza distinzione o danneggia tutto o non fa nulla ovviamente il suo uso può non avere molto senso. Purtroppo il farmaco “perfetto” non esiste, è sempre un po’ un compromesso ttenuto misurando i benefici e i effetti contrari. E naturalmente vogliamo, quanto più possibile, che l’effetto sia sempre lo stesso e sempre alla stessa dose, perché se funziona solo ogni tanto e a dosi che non si riescono a stabilire bene – ” è un po’ di più, signò che faccio lascio?” – viene pure il dubbio funzioni per davvero.

Ci sono degli odori per cui i quali si è potuta registrare sperimentalmente un’attività farmacologica?

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By Kemal ATLI – Lavender Field, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36702179

L’olio essenziale di lavanda in questo senso è uno dei più studiati. Alcune ricerche per esempio mostrano che l’olio essenziale di lavanda e in particolare il linalolo, suo principale componenete, modulano l’attività sinaptica inibendo il legame del glutammato, principale neuritrasmettitore eccitatorio. Questo effetto potrebbe quindi avere un effetto rilassante. È stato inoltre osservato un effetto modulatorio anche dell’ adenosin-monifosfato-ciclico (cAMP) a livello postsinaptico, associato anche questo a sedazione. Attenzione però, come hanno fatto i ricercatori a ottenere questi risultati? Cioè come l’hanno testata questa cosa? Le misure sono state fatte principalmente su parti di ileo intestinale di guinea pig e sull’utero di ratti. Inoltre l’olio essenziale era infuso direttamente sul tessuto analizzato o, nel caso di esperimenti in vivo, somministrato direttamente in vena o nello stomaco degli animali.

Come dicevamo prima, perché una sostanza abbia un effetto farmacologico c’è bisogno che venga assorbita dall’organismo e vada in circolo. Perciò se la sostanza agisse per via area, cioè l’olio essenziale agisse per inalazione, ci dovrebbero essere delle molecole volatili che vengono assorbite dalle vie aeree, oppure tramite stimolazione diretta dei recettori olfattivi. Se questo avvenisse davvero, dovrebbe essere possibile trovarne poi tracce in circolo. Effettivamente questo è stato osservato in alcuni esperimenti sui roditori. Tuttavia, in altri esperimenti si è anche osservato che, in ratti a cui erano state ridotte chirurgicamente le capacità olfattive, dopo avere inalato cedrolo, componente principale del olio essenziale del legno di cedro, era comunque possibile ritrovarne tracce nel circolo sanguigno, escludendo quindi una possibile azione per via olfattiva.

Sugli studi riguardanti l’effetto farmacologico di alcuni oli essenziali ci sono insomma diverse questioni fondamentali di cui tenere conto. Intanto gli studi di questo tipo sono stati fatti in modelli animali, in vivo o in vitro, mentre non ci sono studi nell’uomo in cui si osserva, dopo inalazione di queste sostanze, la loro presenza nel circolo sanguigno. Inoltre negli animali questi composti vengono testati a concentrazioni ben maggiori di quelle usate per l’uomo e la somministrazione è di solito per via più “diretta” e non per semplice inalazione. Tra l’altro anche elementi come il rapporto peso/taglia rispetto alle concentrazioni usate nel roditore e nell’uomo sono molto diverse. Infine, perché una sostanza entri in cicolo e abbia un effetto farmacologico di solito servono almeno una ventina di minuti o comunque una certa finestra temporale, mentre nel caso dei trattamenti con oli essenziali nell’uomo, l’effetto riportato è solitamente quasi istantaneo, il che fa già propendere per un effetto psicologico più che propriamente farmacologico.

C’è stato un esperimento nel 2004 presso l’università di Vienna in cui hanno testato l’effetto del (-)linalolo, componente della lavanda dicevamo, per assorbimento transdermico, con massaggio. In questo caso l’inalazione era impedita da una mascherina e il massaggio applicato sulla pelle dell’addome per 20 minuti. In seguito i ricercatori hanno registrato un abbassamento della pressione sanguigna che potrebbe essere stato associato a un effetto rilassante. In questo caso i ricercatori non escludono che attraverso l’assorbimento dermico la sostanza possa essere entrata in circolo ed aver esercitato qualche effetto sul sistema nervoso autonomo, in un tempo compatibile con una possibile azione farmacologica. Rimane tuttavia difficle formulare un quadro chiaro  poiché questi esperimenti non sono stati replicati. Inoltre altri esperimenti, come dicevamo, hanno dimostarto che anche il massaggio da solo ha questi effetti, e quindi perché non dovrebbe averli il massaggio con l’olio essenziale? È possibile un effetto “sinergico”, ma per diramare la questione servirebbero studi più accurati.

Ci sono invece diverse prove di una possibile azione psicologica degli oli essenziali. Cioè le aspettative del paziente, il contesto e le precedenti associazioni, anche emotive, del paziente con determinati odori possono indurre effetti che si ripercuotono anche a livello fisiologico. Così come umore e stato d’animo possono influire sul comportamento, ed entro certi limiti sulla nostra “ricettività” a certi tipi di trattamento. In questo caso siamo cioè di fronte a situazioni in cui il contesto, le nostre aspettative e la nostra “predisposizione” mentale hanno un ruolo molto importante. Di solito quando andiamo a farci fare un massaggio, o ci sottoponiamo a sedute aromaterapiche, lo facciamo già con l’idea di volerci rilassare, e star bene, e di solito, lavanda o no, se quello che ci ha fatto il massaggio non è bravo, non ci mette a nostro agio o l’ambiente ha degli elementi per noi disturbanti, sarà molto difficile che l’effetto finale sia rilassante.

Nel 2004 alcuni ricercatori hanno fatto un esperimento molto interessante: 90 studentesse di un campus universitario sono state sottoposte a un test con lavanda, neroli e un composto inodore (placebo). Ogni sostanza era di volta in volta presentata come “rilassante” o “stimolante”, e venivano intanto monitorati alcuni parametri fisologigici come frequenza del battito cardiaco, conduttanza cutanea, e psicologici con auto-valutazione dell’umore. I risultati mostrarono che se la lavanda veniva presentata come “rilassante”, gli effetti registrati erano consistenti e quindi la persona provava rilassamento, se invece quella stessa sostanza era presentata come “stimolante” si osservava un effetto appunto stimolante. Questo per tutte le sostanze testate, compresa quella inodore. Cioè non era la sostanza per sé a dare un effetto, ma le aspettative dei soggetti.

Gli studi sui possibili effetti terapeutici degli oli essenziali sono numerosi, ma spesso vizizati da numerosi problemi di ordine tecnico e metodologico. Nell’immenso zoo di studi scientifici si trovano risultati di ogni genere, spesso in contraddizione tra loro, e spesso svolti in condizioni diverse e non sempre riproducibili o non consistenti dal punto di vista statistico. D’altra parte sappiamo che trovare un singolo studio a sostegno di un’ipotesi in questo frangente non è poi così difficile. Ciò che fa la differenza e rende lo studio solido è il rigore scientifico, e quindi anche statistico, con cui è stato svolto, e la sua riproducibilità, cioè il fatto che sia replicabile e che anche altri, possibilmente molti altri, abbiano replicato l’esperimento e siano giunti alle stesse conclusioni. Se ci troviamo invece con una serie di studi che dicono cose diverse, se non completamente opposte, sono difficili da riprodurre e danno risultati confusi, come facciamo a essere sicuri di un certo fenomeno? Voi vi fidereste?

Quindi, massaggino con gli olietti profumati sì o no? Direi che dipende, da cosa vi piace. Io personalmente, essendo un’amante anche dei profumi, li uso molto, consapevole che il loro “effetto” dipende principalmente dal fatto che usi odori che mi piacciono e “mi fanno stare bene” -oppure no, e che siano di buona qualità, cioè non troppo “allungati” o tagliati con altri oli. E in questo senso apprezzo chi mi sa “guidare” nella scelta di un olio descrivendomi le sue caratteristiche “olfattive” in modo che io possa scegliere ciò che in quel momento mi piace e “sento” più appropriato (questo, in modo assolutamente emotivo più che scientifico 😉 ), rispetto a chi, molti, mi elencano possibili effetti “terapeutici” piuttosto aleatori… Gli odori hanno un potere? Emozionano, stordiscono, irretiscono, nauseano, calmano, innervosiscono…

 

On aromatherapy and the Forrest Gump-effect

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Via Pinterest.

In a famous book, anthropologist Annick Le Guérer talks about the “powers of smell”. It is a must-read for people interested in sociological and anthropological aspects of scents and odors. But, what the powers of smell are about? What does it mean?

Well, on a very basic way, if you have ever been on a public area close to the armpit of a stranger, or if you can recall the body smell of your partner, or of your child, probably you know what is all this about.

Smell can make us excited, irritated, nervous, or peaceful; it connects directly with our feelings and memories, therefore it is very powerful at modulating our sensations and sense of wellbeing. The emotional link we make between an odor and a memory is very strong and loaded with emotional features. If a memory had positive connotation, also the associated odor will; vice versa, if the emotional attribution of a particular event was negative, the odor attached to that will most likely result unpleasant as well. This depends from previous experiences, cultural heritage, and personal taste. Actually the reaction of different people to the same odor can vary tremendously. Olfaction is, in this sense, very unpredictable, or saying it with Forrest Gump: you never know what you’re gonna get.

The use of aromatic plants and herbs for different purposes is very ancient; humans have been always fascinated from the odor exhaling from burning substances and raw materials found in nature. Fragrant aromas were used for culinary, cosmetic, and religious purposes in many ancient cultures. Moreover, several plants have active compounds useful for medical purposes as well, aside from the most famous venoms found in nature. And do you know aspirin? For centuries people were used to chew a mixture made from willow (Salix alba) bark in order to alleviate headache, fever and inflammation. Between the 18th and the 19th Centuries people discovered that the actual compound responsible for that was a molecule present in the willow bark, and they called it salicin. Later on, chemists were able to synthetize it making possible to produce a bigger amount of substance for a good price. Finally, they discovered a new molecule, the acetyl salicylic acid, quite similar to salicin but giving less side-effect. The aspirin was born.

Many plants have pharmacological effects, but is it so for their odors as well? Do essential oils have therapeutic effects?

In 1837 a book was published in France with the title Aromathérapie – les huiles essentielles hormones végétales” (éd. Librairie des sciences Girardot, 1937). The author, René-Maurice Gattefossé, was a chemist convinced in the healing power of essential oils, which, by the way, were also produced in the laboratories of the cosmetics firm owned and named after his family. He is considered the father of the aromatherapy, a practice that proposes that plant-based aromas have the ability of influence mood and sense of wellbeing, although it is not scientifically supported. On the other hand, in 1982 the Sense of Smell Institute coined the term “aromachology” to refer to scientific studies on the psychological effects of odor stimulation and the mechanisms behind it.

We should first note that often under the “aromatherapy”-umbrella follow different kind of things: often people using herbal remedies and other plant-derivate preparation refer to it as aromatherapy, although they are not, but they are often administered in combination with essential oil massage and odor inhalation (the actual aromatherapy treatment). When we talk of “herbal preparation” we usually refer to some preparation made from plants, where actually an active compound is present, which is ingested and assimilated in the body. Meaning, as any pharmacological compounds, it enters the bloodstream and has a specific effect in the body. Different is the issue regarding essential oils, which are claimed to be active thorough the olfactory system, thus sniffing them would be enough to get some effect.

The question has been largely explored from several scientists trying to demonstrate if there is any evidence for this. One of the most studied is lavender, which is claimed having anti-stress, relaxing effects. In some experiments, scientists have shown that actually lavender and linalool, the principle component of lavender oil, act inhibiting glutamate binding in the brain, and therefore having a sedating effect. It also modulates the activity of cyclic adenosine monophosphate (cAMP) at the postsynaptic side, which also results in a decrease of cAMP activity and sedation. But, we should note that those experiments were conducted on rats and guinea pigs: the effect was measured mainly on isolated sections of ileum and uterus.

As we already said a compound can have a pharmacological effect if it enters the bloodstream and therefore can reach its target. This means that a volatile compound should be absorbed by the olfactory mucosa or respiratory system and be traceable in the bloodstream. In the case of aromatic compounds, experiments in rodents show that after inhaling them, they were detected in the bloodstream. On the other hand, other experiments testing for cedrol, the main component of cedar wood oil, in rats with compromised olfactory ability was still possible to find the substance in the bloodstream, suggesting the mechanism of action does not go for the olfactory system. Moreover, we should consider that most of those studies have been conducted on animal using more concentrated and high doses respect what is usually done with humans, and most important, the oils are usually administered per ingestion or injection, therefore the mechanism of action is definitely different. In humans there are no scientific studies reporting the presence of aromatic compound in bloodstream after inhalation.

Usually a pharmacological compound needs around 20 min to be active, the time to be absorbed and metabolized, but people receiving aroma-treatments often report an almost instantaneous effect, suggesting a psychological more than a strictly pharmacological mechanism.

A possibility explored in a study conducted at the University of Vienna in 2004 is the action of essential oil via dermal absorption. Researchers measured the effect of 20 min abdominal massage with (-) linalool assessing several physiological and psychological parameters. The results show that after 20 min massage the blood pressure and heart rate decreased and the patients reported relaxation. Scientists consider it could be possible that in this case a pharmacological weak effect is reached via dermal absorption of the compounds. On the other hand, other experiments have shown that a massage “alone”, without essential oils, is already able to induce relaxation.

As we said at the beginning scents can have strong effect on our feelings and mood, which can affect in some degrees our physiological status. Meaning and emotional connotations are also very important as well as context and ambience. When we are undergoing a body massage with essential oils, the type of odors which are used, the skills of the practitioner, and the general atmosphere can make a big difference on the “success” of the treatment: if for any other reason we dislike the situation, even a full bunch of lavender oil would not make any better, even worse if people do not like lavender at all 😉

An interesting experiment in 2004 showed how expectation of the patient can change the way an odor is perceived. In this study were involved 90 females from a college campus. Scientists administered to the subjects three different essential oils: lavender, neroli and an odorless compound as placebo. They monitored physiological effects as blood pressure, heart rate and skin conductance, and psychological self-assessments on mood and feelings. They presented the odor randomly as “stimulating” or “relaxing” and they saw that, independently from the odors, people reaction was consistent with the descriptor: when lavender was presented as a “stimulating” odor, the subjects experienced stimulation; when lavender was presented as “relaxing”, the effects were also consistent. The same was obtained with the odorless compound, suggesting that the major role was played by the personal expectation and not from the odor per se.

 

Bonus

Further references:

  • Campenni, C. E., Crawley, E. J., & Meier, M. E. (2004). Role of suggestion in odorinduced mood change. Psychological Reports, 94, 1127–1136.
  • Chen, D., & Dalton, P. (2005). The effect of emotion and personality on olfactory
    perception. Chemical Senses, 30, 345–351.
  • Elisabetsky, E., Marschener, J., & Souza, D. O. (1995). Effects of linalool on
    glutaminergic system in the rat cerebral cortex. Neurochemistry Research, 20,
    461–465.
  • Field, T., Morrow, C., Valdeon, C., Larson, S., Kuhn, C., & Schanberg, S. (1992).
    Massage reduces anxiety in child and adolescent psychiatric patients. Journal of
    the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 31, 125–131.
  • Herz, R. S. (2001). Ah, sweet skunk: Why we like or dislike what we smell. Cerebrum, 3(4), 31–47.
  • Herz, R. S., Beland, S. L.,&Hellerstein,M. (2004). Changing odor hedonic perception
    through emotional associations in humans. International Journal of Comparative
    Psychology, 17, 315–339.
  • Herz, R.S. (2009). Aromatherapy Facts and Fictions: A Scientific Analysis of Olfactory Effects on Mood, Physiology and Behavior. International Journal of Neuroscience,119:2,263 — 290.
  • Lis-Balchin, M., & Hart, S. (1999). Studies on the mode of action of the essential oil of
    lavender (Lavandula angusifolia P. Miller). Phytotherapy Research, 13, 540–542.

Annuso, dunque compro – I smell, therefore I buy

Sul marketing olfattivo e la psicologia dell’acquisto

smell wedding

Credit: perfecsenseblog.

È vero che la presenza di fragranze nei negozi influenza il comportamento degli acquirenti e li spinge a comprare di più? Questa è un po’ in sintesi la domanda fondamentale che molti si pongono e su cui si concentra anche il marketing olfattivo. Domanda talvolta associata all’idea, e alla falsa credenza, che uno specifico odore o profumo possa avere un effetto diretto e specifico sul nostro umore e sul nostro comportamento, e quindi anche influenzare l’acquisto… facciamo un po’ di chiarezza.

La faccenda è complessa perché si tratta di studiare il comportamento e la psicologia umana in condizioni piene di variabili difficili da controllare. In una situazione ideale io ho un elemento A, l’odore diciamo, e un effetto da misurare: voglio sapere se questo, spruzzato nel negozio, fa aumentare le vendite (effetto B). Faccio una serie di osservazioni e confronto il numero di vendite prima e dopo aver spruzzato quel profumo, e vado poi a vedere se c’è una differenza significativa tra i due casi, con e senza profumo: le vendite potranno essere aumentate, diminuite o rimaste invariate; o, più semplicemente, dato A, ottengo B. Il ragionamento sembra filare e in parte, insieme ad altre misure e osservazioni potrebbe aiutare ad avere almeno delle informazioni qualitative. Tuttavia le variabili confondenti presenti in questo caso, e in altri simili, sono numerose. Infatti, altri fattori potrebbero influire sulle vendite e quindi interferire con la mia osservazione. Qualche esempio: il periodo dell’anno, orari della giornata, giorno della settimana, stagione, possono influire sul flusso e tipo di clientela, e quindi sulle vendite; anche le condizioni meteorologiche, perché a seconda che piova o ci sia bel tempo possono esserci pattern di comportamento diversi; e poi ancora il fatto che le condizioni ambientali nel negozio possono un po’ variare, dalla presenza o assenza di musica e quale tipo, ai commessi, allo stato psicologico personale degli acquirenti in un dato momento. Ci sono metodi statistici che potrebbero aiutare a tenere conto di alcune di queste variabili nell’analisi dei dati, ma servirebbe comunque raccogliere dati in larghissima scala (e in diversi posti, perché anche elementi come il tipo di negozio, cosa viene venduto, posizione geografica, ecc. potrebbero portare a risultati diversi) in modo da avere un campione molto grande di riferimento. Di studi del genere in realtà non ce ne sono molti, e l’unico studio quantitativo di questo tipo risale al 1995 (Hirsch A., 1995) ed è però riferito a una situazione particolare: il gioco d’azzardo. Lo studio è stato infatti fatto a Las Vegas, in un casinò, per vedere se la presenza di profumi ambientali influenzasse o meno la propensione al gioco d’azzardo, e osservando che c’era un’aumento del 45% nel gioco nelle sale con odori.

Ci sono alcuni studi scientifici con un approccio più rigoroso, ma che hanno comunque diversi aspetti deboli nella metodologia, inoltre alcuni di questi studi vengono svolti in mabiente controllato, quindi in laboratorio. E perfino in questo caso potrebbero esserci dei bias nelle osservazioni, perché i comportamenti non sono osservati in ambiente “naturale”. Dall’altro lato gli studi sul campo sono insidiosi perché, come abbiamo visto, effetti confondenti dovuti ad altre variabili che non c’entrano con quello che si vuole misurare potrebbero influenzare il comportamento finale osservato.

E poi, se anche osservassi un effetto, questo dipenderebbe da una specifica profumazione, oppure una vale l’altra? Ognuno ha gusti e preferenze diversi, mediati da diversi fattori, biologici, psicologici, sociali, culturali, ecc. Per cui semmai, dato un certo odore, avendo un numero sufficientemente alto di osservazioni “controllate”, dovrei poter ottenere almeno indicazioni del tipo: quando nell’aria è presente l’odore A, diffuso nell’ambiente con modalità X, a concentrazione Y, per un perido di tempo Z, in un certo tipo di negozio, nella città di odorlandia, l’indice di gradimento dei clienti per il negozio è di J in K numero di persone, e le vendite vanno nel modo C. E bisognerebbe poi vedere, se questi effetti rimangono e sono ripetibili nel tempo. Altrimenti, di nuovo, chi mi assicura che non si sia trattato solo di caso o coincidenza? E tu, che devi investire in un prodotto del genere, ti fidi che funzioni?

In letteratura, nell’insieme dei fattori presi in considerazione sul comportamento dei clienti rispetto alla presenza di profumazione ambientale, ci sono anche:

-gradimento per il negozio e/o specifico prodotto

-tempo di permanenza nel negozio/reparto

-possibili effetti sull’umore

-propensione all’acquisto

Come dicevo non ci sono molti studi quantitativi a riguardo e sono spesso carenti o comunque portano a risultati non conclusivi, al più evidenziano delle correlazioni che, sappiamo, non sono necessariamente indicative di un “effetto” realmente presente.

Spesso per queste valutazioni sul campo vengono usati dei questionari, che hanno una loro utilità, ma molto limitata perché soggettivi. Per esempio: voglio sapere se la presenza di un odore in un certo negozio influenza il giudizio dei clienti sul negozio stesso. Cerco di prendere un campione di clienti a cui sottoporre un questionario di gradimento. Però, siccome non posso obbligare i clienti a rispondere al questionario, una prima selezione viene già fatta in base a chi è più propenso a rispondere. Posso presumere che chi in quel momento ha più tempo a disposizione, o è di buon umore per altri motivi, sarà magari più disponibile, e magari, sarà più facile mi dia anche un giudizio positivo, che però non dipende dall’odore in sé ma dal fatto che quella persona in quel momento era di buon umore. Come faccio a essere sicuro che è davvero l’odore a fare la differenza? Servono come minimo valutazioni su larga scala, e in ogni caso possono dare un’indicazione, ma si è ben lontani dall’essere certi.

McCain-Scent-Campaign

Pannello pubblicitario della McCain in cui schiacciando un bottone si può sentire il profumo delle patatine al forno pubblicizzate.

In una review pubblicata nel 2016 sul International Journal of Consumer Studies gli autori hanno provato a fare un rassegna degli studi più attendibili, condotti e pubblicati dal 1980 al 2015, sull’effetto degli odori sul comportamento dei consumatori. Sono stati presi in considerazione solo lavori pubblicati su riviste specializzate e peer-review (cioè dove la pubblicazione avviene dopo una revisione alla pari) e valutate con un punteggio di tre e quattro stelle dalla Associations of Business Schools Academic Journal Quality Guide, per i campi di studio di psicologia e marketing. Dal loro setaccio sono usciti solo 45 lavori scientifici, comprese alcune review (cioè descrizioni critiche di studi altrui).

I ricercatori hanno preso in considerazione questi effetti: la risposta cognitiva, l’influenza su umore e emozioni, percezione, memoria e risposta comportamentale.

Su molti di questi aspetti gli studi sono pochi e spesso non conclusivi.

Sulla risposta cognitiva, per esempio, alcuni ricercatori hanno osservato che la valutazione di un odore è influenzata dal contesto, cioè se l’odore è congruo con l’ambiente oppure no. Per esempio odori di cibo nel reparto abbigliamento o in quello alimentare portano ad apprezzamento diverso nei consumatori. D’altra parte altri ricercatori hanno osservato che in altri casi invece la congruità non sembra essere importante nella valutazione positiva dell’esperienza. Ovvero, basta che l’odore piaccia affinché la valutazione sul negozio/prodotto sia positiva, anche se l’odore non c’entra niente col prodotto stesso. Insomma, dati discordanti.

Altri fattori presi in esame in diversi studi e che possono contribuire agli effetti degli odori sui clienti sono, oltre alle preferenze soggettive per una data fragranza, l’età, il genere, altre caratteristiche della fragranza come intensità, piacevolezza, congruenza, la consapevolezza della presenza o meno dell’ odore.

Per molte di queste valutazioni non si hanno ancora dati scientifici definitivi e sicuramente è un ambito di ricerca in espansione, e col tempo probabilmente ci saranno nuovi dati, non solo dalla psicologia, ma anche dalle neuroscienze, che ci aiuteranno a capire meglio questi meccanismi.

Ma quindi per un marchio ha senso avere un proprio logo olfattivo, oppure no? Ha senso diffondere odori negli ambienti commerciali? Vista la complessità dell’argomento ovviamente non possiamo fare un discorso generico. Ci sono diverse osservazioni che suggeriscono che una profumazione leggera e non troppo invasiva, che rimane nel background, può incidere positivamente sull’esperienza del cliente, e di conseguenza renderlo più propenso ad apprezzare il negozio e i prodotti, da qui a dire che gli odori faranno comprare di più è un’altra storia.

Per quanto riguarda il logo olfattivo, può invece avere un senso, visto il legame molto stretto che si può formare nella memoria del cliente tra un odore specifico e il brand stesso. In questo senso – io non sono esperta di marcketing – il meccanismo e i parametri per riconoscibilità e distinguibilità del logo sono analoghi a quelli applicati al logo tradizionale. Il valore aggiunto della componente olfattiva, oltre alla novità della cosa, sarebbe il fatto che essendo l’olfatto legato alle nostre memorie ed emozioni, ciò aiuterebbe a “fissare” facilmente il logo nella memoria emotiva del consumatore. Per cui il cliente “imparerà” a collegare quel determinato odore a quel prodotto specifico o a quella marca (avete presente la scia di profumo emanata dalla catena di negozi Lush? Decisamente riconoscibile e volutamente percepibile a distanza: chiunque arrivando da lontano, prima ancora di vedere il negozio ne “sniffa” la presenza). D’altra parte, gli odori possono essere un’arma a doppio taglio: hanno un impatto emotivo e fisico molto forte, perciò se l’odore usato è troppo forte o diventa per qualunque ragione disturbante e molto spiacevole, e anche questo rimarrà impresso nella memoria del consumatore.

 

Bonus

Nota di viaggio dal Giappone

Durante il mio recente viaggio in Giappone una delle cose da cui sono rimasta più colpita è stato il diverso uso, rispetto a quanto avviene da noi, di odori e profumi nello spazio pubblico e nei negozi.

Che in Giappone l’uso, il gusto e la sensibilità per le fragranze siano diversi dai nostri già lo sapevo, così come sapevo che culturalmente lì si ha la tendenza a non amare profumazioni personali troppo forti e, anzi, è preferibile evitarle. Cosa che ho potuto riscontrare in diversi contesti pubblici, nei locali, nelle metropolitane affollate, per strada: quelle rare volte che mi è capitato di sentire un profumo personale era quello di un turista straniero. Tra l’altro, cosa bizzara forse effetto del viaggio e nell’immersione completa in una nuova cultura, la mia sensibilità alle profumazioni personali si è in quei giorni accentuata portandomi a notarle, con una punta di fastidio devo dire, molto più di quanto faccia di solito.

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Yokohama Garden Necklace 2017. Credit: perfecsenseblog.

Ad ogni modo, tra le mie osservazioni “sul campo” ce n’è stata poi una seconda: le profumazioni ambientali dicevo. Molto più di quanto mi aspettassi, nei centri commerciali, e anche in alcune stazioni della metropolitana, almeno nei posti in cui sono stata (Sapporo, Tokyo, Kyoto, Osaka, e diverse località minori) vengono spesso diffuse profumazioni piuttosto tenui che, a mio gusto personale, ho trovato piacevoli. Mi sono sempre sembrate non invasive, poco intense e delicate, spesso con un sentore vagamente agrumato, oppure di legno di sandalo in alcuni casi. La cosa interessante per me è stata la gradevolezza e la pacatezza di questi odori, sobri e non eccessivi, e forse anche per questo ancora più in contrasto con molte delle profumazioni ambientali che mi è capitato di sentire, e subire, in diversi negozi in Europa. Ribadisco, queste sono ovviamente mie osservazioni e impressioni personali, quindi soggettive e ahimè mendaci 😀

Tra l’altro, mia osservazione curiosa, in Giappone i negozi Lush non hanno la stessa intensità olfattiva; la profumazione è la stessa, ma una volta avvistato il negozio è necessario avvicinarsi fino all’ingresso per sentirne l’odore. Presumo si tratti di un “adattamento” di mercato tarato sui gusti locali.

 

I smell, therefore I buy

 

The question is always the same: how can I make my brand more appealing? How can I make consumer to consume more? The last hot resource for communication and marketing seems to be in our nose.

Sensory marketing, neuromarketing, olfactory branding, all of these tend since some years to understand how consumer-brain works and how to make products more pleasurable and appealing to the senses. Vision and hearing are the most obvious target, but other senses can be very resourceful as well. Touch and smell for example. The use of ambient fragrances and olfactory-logos is becoming more and more popular, with the promise of making customer prone to buy (more). The question is: does it work? Is there any scientific ground for such approach?

The answer is not an easy one. Talking about human behavior and psychology we are confronted with observations and phenomenon not easy to measure under control. We want, say, measure if an ambient odor has an impact/effect on the selling rate in a shop. It sounds pretty straight forward: I measure the selling rate before and after diffusion of the odor and see if any significant difference is there. The point is: how to make sure that what I am observing is actually due to the odor and not to something else? People consumption-behavior can be affected by several factors, personal and subjective, and environmental (season, time, weather, shop layout and setting including the presence/absence of music, illumination, selling-assistants, etc.). There are several potential confounding parameters to take into account, therefore huge amount of data need to be collected in controlled way and same conditions over the time, in order to give a solid statistical ground to the observations.

Actually there are no many quantitative studies available; the only one with this approach is from 1995 (Hirsch A., 1995), and is quite specific: it measured the effect of ambient odors on gambling behavior in Las Vegas in one casino, which resulted in the observation that the presence of ambient fragrances was associated with increase (45%) in slot-machines usage.

In 2016 a review published on International Journal of Consumer Studies (Rimkute et al., 2016) collected most of the major studies that have been published, between 1980 and 2015, in the field of psychology and marketing on the effects of scent on consumer behavior. The goal was to have a reliable summary and overview of the studies regarding the impact of scent on consumers ‘cognitive and affective responses, attitudes and perceptions, as well as memory and behaviors. It emerged that relevant mediators and moderators of the effects of scent on these variables include affect, cognition, awareness and individual or environmental stimuli.

From the review emerges that in most of these studies (they could select only 45 peer-reviewed papers and reviews according with the quality standard of the Associations of Business Schools Academic Journal Quality Guide) findings are somewhat inconclusive.

Olfaction has surely a huge impact on feelings, memory and emotions therefore create a strong link between a specific odor and a brand/product – make an ‘olfactory logo” – could work, and actually there are already several successful cases: from the coffee-smell of Starbucks to the fragrance of Singapore Airlines, for example. On the other hand, people can be very sensitive to smell, and overstimulation could also cause headache and be a trigger of bad memories. Selecting a palette of odors for an olfactory logo or ambient one should therefore bear in mind to avoid those odors that could over-stimulate in this fashion, as they could negatively affect the customers. Usually odors which are delicate and remain more in the background are more tolerate.

Most of the “effect” of an odor is connected to the context and the meaning people gives to it, therefore is often not a direct biological effect of the odor per se – which indeed is not yet proven scientifically – but the emotional association that has been made to that odor. If the odor is associated to a positive experience, it is most likely that the odor will trigger positive feelings in the future as well and vice versa.

 

Bonus – my traveling notes from Japan

Is it true, if you go east odors became fainter and subtitles. It was true at least for me visiting Japan. I am used to European, say Western, odor-mode, which is often loud. In Japan everything is all but loud, perfume too. People don’t like strong smell, actually better if you have no smell at all. Moreover, what impressed me is the use of ambient odor in public space. Actually I could make very elaborate smell-map of the places where I have been, but, singularly, all these smell where “silent” and somehow “elegant”. I have noticed many natural odors, most from flowers which were very often used for decorating public spaces such mall and stations (yes, they used very often impressive garden installations, with actual flowers!).

I have found myself often smelling around with a little smile on my face, it was usually an odor citrus-like, or a sandalwood-like smell, faint, not aggressive, just pleasant, diffused in some shops and big mall, even in the underground sometimes. I found these odors very far from the strong, heavy (personally sometimes intoxicating) fragrances that are often sprayed in our western shops. I have been always very critical with such “odor-branding-strategies”, but after my trip I have seen that another way is possible, yet pleasurable.

Scent of Mimosa

Su quando scopri un odore

 

Sabato scorso mi è successa una cosa strana. Al mercato, passando davanti a un banchetto di fiori, ho visto delle mimose. Ma non è questo. È vero, qui in Germania, almeno dove sto io, di mimose a marzo non se ne vedono molte. Anche perché è una pianta che non ama i climi troppo rigidi. A sorprendermi, dicevo, è stato ciò che mi è successo con ste mimose.

Che poi son fiori a cui, per la verità, non avevo mai prestato troppa attenzione né mi sono mai piaciuti particolarmente. Anzi, siccome da noi le si regala l’otto marzo e spesso negozi e ristoranti ne sono pieni, mi sono sempre sembrate parte del risvolto un po’ commerciale della festa della donna. E invece, qui, ora, cosa mi è capitato. Sabato ho comprato un mazzo di quelle mimose, perché sì, mi hanno in qualche modo ricordato la primavera, il sole, ed è un fiore, dicevo, qui non tanto comune. Poi a casa, liberate dalla carta in cui erano avvolte e lasciati i rametti liberi, hanno iniziato a diffondere per tutta casa un profumo che non sentivo da tanto tanto tempo. Ironia, il mio compagno lo percepisce a malapena, a me pare che la casa ne sia ormai intrisa. Comunque.

Il potere degli odori. Questo è bastato a riportarmi indietro in un periodo non ben definito, tra infanzia e adolescenza, quando a scuola o in giro finiva sempre che qualcuno te ne regalasse una, e poi rientravo al ristorante dei miei, e ce n’era un rametto su ogni tavolo. E se ne vedevano ovunque, e, semplicemente, il loro profumo era parte di quel contesto, di quei giorni, lo sentivo, ma forse no, mi era indifferente. E invece ora, quell’odore, riesco a distinguerlo, riconoscerlo, ed è stato un po’ come quando scopri di essere innamorato di una persona che conosci da tanto, la prima volta che la guardi negli occhi con questa consapevolezza. Io, che non sono particolarmente sdolcinata; questo mi ha fatto l’odore di mimosa.

E niente, uno passa un sacco di tempo a studiare i meccanismi della percezione, il perché e il per come di certi fenomeni, e poi finisce così, trovi un fiore, lo annusi, e rimani lì, come un allocco.

Molecola, recettore, naso, neurone, amigadala, ippocampo, cuore che batte, io che un po’ mi emoziono. Certo, siamo animali strani.

MIMOSA 2_4 MARZO 2017

 

What happens when I smell mimosa

It was last Saturday, at the market. I walked by a flower stand and I spot some mimosa, not so common where I leave here, in Germany. I was a bit surprised to find them, and, probably inspired by the sunny day, looking forward to spring time, I brought home a bunch of these not easy to find flowers. Then, something happened.

I was never a big fan of such flowers to be honest. In Italy they are quite popular; at the beginning of March you can find them everywhere, since we usually use them to celebrate the women-day. So to me, they have always been much related to that, and to the “commercial” aspect of such celebration.

Anyway, now it turns out these tiny little yellow flowers have the power to bring me back to my far past. The smell of these mimosas, spreading in my house gave me new, unexpected deep feelings, like meeting an old friend after long time.

Funny, you spend so much time as a scientist, studying and investigating the physiology of perception, how smell works, trying to make sense of how stuff do what they do; then suddenly you smell a little flower, and you are lost.

Molecule, receptor, neuron, amygdala, hippocampus, the heart beating, my  feelings trembling. Indeed, we are strange, animals.

A Esxence 2017

E le mie divagazioni su me medesima, i profumi, la fiera e una community bellissima

Non sono mai stata molto brava a lavorare per compartimenti stagni, parte del senso che trovo nelle cose che faccio deriva proprio da questo rimestare e mescolare le attività e le ispirazioni più disparate, tessendo così il filo delle mie passioni: scienza e olfatto, teatro e danza (con e senza sperimentazioni olfattive), scrittura e, indovinate un po’? i profumi.

Questo per dirvi che questo mese a Esxence 2017 – fiera internazionale di profumeria artistica – le mie passioni saranno di nuovo mescolate: a Milano, domenica 26 marzo, alle 11.30, terrò una conferenza su olfatto e percezioni olfattive con un’attenzione particolare soprattutto alla psicologia dell’olfatto e delle nostre sensazioni olfattive. Perché sentiamo ciò che sentiamo?

logo

 

In laboratorio lavoro in mezzo a cavi, cacciaviti e bulloni; certo ci sono anche flaconi con soluzioni e diverse sostanze chimiche, e beh no, il camice bianco, per la verità, lo uso poco. Nei mei esperimenti cerco di capire come funzionano i neuroni di alcune parti del cervello, negli ultimi anni principalmente quelli coinvolti nel senso dell’olfatto. E quindi per farlo, e per studiarne l’attività elettrica – che è il modo in cui i neuroni si “esprimono” – mi servono appunto cavi e  aggeggi che a volte fanno pensare più di essere in un’officina che in un laboratorio così come spesso ce lo immaginiamo. A casa, invece, nella “stanza degli hobby” (sì abbiamo una stanza così, ma questa è un’altra storia), accanto ad altri utensili vari, “da officina” pure lì, ho un angoletto degli odori, dove mi diletto e mi esercito a conoscere e imparare a distinguere le materie prime usate in profumeria. Non che ancora mi riesca granché bene, ma mi piace, e mi permette di addentrarmi ancora di più in una passione che ho da quando ero bambina: gli odori, gli aromi, i profumi…

Una delle cose più affascinanti dell’olfatto è quella di essere sfuggente, sottilmente legato al contesto in cui ci troviamo e a ciò che “crediamo”  di sentire. Durante l’incontro vi parlerò di alcuni dei tranelli che a volte l’olfatto ci tende e del perché succede.

Ma c’è di più, sarò lì negli altri giorni della fiera per annusare e immergermi nei profumi di nicchia, un settore della profumeria moderna che va pian piano espandendosi e abbraccia una fetta sempre più ampia di pubblico: appassionati, cultori, ma anche persone che semplicemente amano i profumi e sono curiose e aperte alle novità e a prodotti diversi da quelli offerti da altri canali. Il tema della fiera quest’anno è “I giardini dell’Eden” richiamando come ispirazione quella di un giardino rigoglioso, lussureggiante, e ricco di note olfattive.

Nella fiera vengono esposti i principali marchi di nicchia (quest’anno saranno presenti 190 case madri), da quelli molto grandi a profumieri indipendenti, ed è un modo per venditori e addetti ai lavori di conoscere i nuovi lanci del mercato e nuove case. Inoltre, al sabato e alla domenica c’è l’apertura al pubblico per dare modo a chiunque di avvicinarsi a questo mondo, scoprire marchi nuovi e conoscere altri lati della profumeria.

Durante i giorni della fiera c’è poi un calendario di incontri e conferenze per addetti ai lavori e per il pubblico (nel fine settimana, l’ingresso è gratuito, bisogna solo registrarsi sul sito). Qui alcuni di quelli che mi sono segnata:

giovedì alle 13.00 Saskia Wilson-Brown, fondatrice del The Institute for Art and Olfaction (Los Angeles), annuncerà i finalisti del Art and olfaction awards; mentre alle 15.30 il Prof. Giuseppe Squillace, dell’Università della Calabria, presenterà il suo nuovo libro “I mestieri del lusso nel mondo antico: l’arte della profumeria”; venerdì alle 9:45 ci sarà il workshop con il naso profumiere Christophe Laudamiel: Ugly or beautiful: aesthetics in perfume creation; sabato pomeriggio alle 15:00 lo scrittore di profumi Eddie Bulliqi terrà la conferenza Scent surprises: prepare to be shocked!, e alle 17:00 Wanda Benati, esperta di viaggi, terrà un incontro sui giardini e le piante da profumo in varie parti del mondo.

La mia conferenza invece, come dicevo, sarà domenica mattina alle 11:30.

Ci vediamo lì 🙂

Bonus

Durante queste mie incursioni condividerò impressioni e idee insieme al gruppo di Adjiumi. Che cos’è Adjiumi? La descrizione “da manuale” sarebbe forse quella di una community virtuale sul profumo, orbitante principalmente intorno all’omonimo forum, e con propaggini e pseudopodi su gruppi facebook dedicati a temi più specifici.

E ora vi dico cosa è davvero, raccontandovi la mia esperienza: da appassionata di profumi, mi sono iscritta al gruppo facebook, cosa che non faccio molto spesso devo dire. E forse anche per questo non ero molto preparata. Infatti, la prima sensazione/reazione è stata: dove sono capitata? Sembrava di stare al bar dove tutti si conoscono e tutti parlano, con modalità diverse perché siamo tutti diversi, degli argomenti più disparati; tutti però incentrati su un grande tema comune: la passione per i profumi. Il fatto è che secondo me più che un gruppo, è una tribù, bellissima e variopinta. E in questa tribù o ti ci butti e ti fai un po’ travolgere o non ci resisti – anche perché sennò che senso avrebbe? Ed è così che pian piano scopri e diventi parte di un tessuto in fermento: è un luogo umano, dove le persone si incontrano e scambiano informazioni utili, opinioni, consigli, esperienze; si riescono così a conoscere cose nuove sul mondo dei profumi, e persone aperte e disponibili come se ti conoscessero da chissà. La regola principe è solo quella delle buone maniere e dell’educazione – ché online come nella “vita reale” andrebbero applicate comunque. Per cui niente stramazzi e discussioni asciuganti e fini a se stesse, ma chiacchierate serene e una passione in comune. Che bello (qui potete leggere di più su come è nato il gruppo e chi l’ha fondato).

Posterò foto, e aggiornamenti su:

le pagine facebook de il senso perfetto (perfectsenseblog) e sulla pagina fb di Adjiumi

Sulle pagine Twitter mia e di Adjiumi

E Instagram #perfectsenseblog #Adjiumi #Esxence2017

We meet at Esxence 2017

Digressions about myself, perfumes and a passionate community

I have to say I was never good at keeping things separate: science, art, dance, theater, olfaction, perfumes… I like mixing, and I find meaning in bringing things together in order to get new inspirations. It turns out this brings me often merging different fields: the science of olfaction and the aesthetics, my practice in dance-theater and the olfactive-theater, my days in the lab, and the evenings sniffing raw materials at home, and the perfumes.

Thus, this month I am very happy to merge one more time my passions:  I will take part to Esxence 2017 – the international fair of artistic perfumery – in Milan, where on Sunday 26 I will give a talk about the sense of smell, psychology and odor perceptions.

The fair is a big event for niche perfumery, hosting this year 190 brands and several talks and events, with some during the weekend open for general public as well. During those days I will hang around, open to smell and discover new people and perfumes. Among the events Saskia Wilson-Brown will announce on Thursday 23 March, the finalist of the Art and Olfaction Awards; and on Friday morning, the nose Christophe Laudamiel will give the workshop: Ugly or beautiful: aesthetics in perfume creation.

My talk will be on Sunday, 26 March, 11:30 am

I’ll see you there!

Bonus

During my “perfumed – days” I will share my pictures and impression with the guys of Adjiumi – the passionate Italian tribe of perfume-lovers. You can follow us also on our socials 😉

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