Ovvero voli pindarici sulla consapevolezza dei sensi

Credit: G.Sammarco
Transizione da profumeria elitaria a profumeria commerciale dicevamo. Il passaggio successivo è il marketing olfattivo: incentivare le vendite con l’uso di fragranze, creare un proprio logo olfattivo facilmente distinguibile, profumare gli ambienti per colpire il cuore delle persone. Il più delle volte a essere colpiti sono stomaco e portafogli.
Partiti da una società (mi riferisco sempre principalmente a quella occidentale) puzzolente, dove per le strade di città non si distingueva il fango dal letame e i fiumi erano cloache a cielo aperto, siamo arrivati ai giorni nostri dove sembra che tutto debba profumare. E quindi le città (e noi con loro) continuano a puzzare. Certo ci sono odori diversi, cambiano da città a città, da quartire a quartiere, da isolato a isolato: rosticcerie, panetterie, pizzerie, cucina thai, cucina cinese, indiano, McDonald, profumerie, pelletterie, negozi aromatizzati, passanti che fumano, smog, passanti che hanno mangiato troppo aglio o cipolla, vicini in metropolitana inondati di dopobarba, tessuti sintetici sudati, asfalto rovente, immondizia, asfalto sotto la pioggia, pipì, fiori appena sbocciati, erba tagliata. Odori diversi a seconda delle stagioni e del naso di chi annusa. Una costante: il bisogno di coprire gli odori e averne uno nuovo per sentirsi speciali. Nulla di male, ma mi chiedo quale sia il livello di consapevolezza dietro questa esigenza. Ci muoviamo nello spazio subendo gli odori – puzze, profumi o qualunque cosa siano – e per difenderci cerchiamo di coprirli con altri odori in un circolo vizioso un po’ asfittico. Siamo iperstimolati, ma i nostri sensi continuano e essere rattrappiti perché la testa fugge invece di fermarsi ad ascoltare come il corpo risponde a certi stimoli e perché. Non sappiamo respirare.

Cosa ci azzecca questo discorso col marketing olfattivo? Parlare di “sensorialità” va di moda, è tutto un inno all’esaltazione dei sensi e a trovare lo stimolo definitivo che accenda la nostra attenzione. Dal momento che l’olfatto è un forte mediatore di emozioni e ricordi, si è pensato bene di sfruttarlo a scopi commerciali. Vista e udito sono ormai assuefatti, stimolare l’olfatto per aumentare gli acquisti, creare una firma olfattiva per sottolineare l’esclusività di un marchio, è ciò verso cui diversi brand si stanno muovendo. Peccato i nostri sensi siano in preda ai crampi e non ce la fanno più. Credo io. Chiariamo, non ci vedo nulla di sbagliato nell’usare certe profumazioni per rendere più piacevole un ambiente, far rilassare i clienti e quindi renderli più propensi all’acquisto. Perché no? Il mio dubbio sta nel come questa operazione viene fatta: superficiale e aggressiva (certo ci sono eccezioni, ma spesso…).
Tra l’altro l’olfatto è un senso subdolo: non sentiamo tutti gli stessi odori e nello stesso modo. Sia a livello psicologico che fisiologico la percezione olfattiva ha una variabilità superiore agli altri sensi. Certo si può disquisire su quale sia l’esatta tonalità di rosso in un manifesto, ma un odore è tutt’altra faccenda: per uno è un profumo, per un altro una puzza, per un’altro ancora qualcosa di neutro perché magari quasi non lo sente. E questo succede a livello biologico perché la variabilità dei recettori olfattivi nel nostro naso è grandissima: per i colori abbiamo tre diversi recettori, e fanno già un lavoro pazzesco se pensate a tutte le sfumature visibili; di recettori olfattivi ce ne sono nell’uomo quasi quattrocento, e non tutti hanno esattamente gli stessi, perciò non tutte le persone sentiranno proprio gli stessi odori. A questo aggiungeteci i fattori psicologici, culturali, ambientali e di allenamento a distingure gli odori. Cose da tenere presente prima di saturare l’aria di un negozio con un aroma X.
Il marketing olfattivo emerge da una mistura variegata di cose ormai in voga e cerca di infilarsi nelle pieghe del neruromarketing – ché ormai “c’è un neuro per tutto” come mi è già capitato di dire. Intanto, cos’è il neuromarketing? Marketing e neuroscienze, più o meno. Nato da una branca della neuroeconomia (l’ho già detto che c’è un “neuro“ per tutto?), integra il marketing tradizionale con gli studi di scienze cognitive e comportamentali su come funziona il cervello quando compiamo delle scelte volte all’acquisto. L’obiettivo è capire in che modo un certo tipo di comunicazione e specifici stimoli sensoriali influenzano una persona quando deve comprare qualcosa. Più in generale, quello che viene chiamato “decision making” (prendere decisioni: cosa comprare, quale partito votare, ecc…) è oggetto di studi della neuroeconomia.
La risposta a queste domande sta spesso nella pancia. Inutile scuotere la testa, siamo tutti soggetti a bias cognitivi che influenzano le nostre scelte e ci fanno propendere quasi sempre per scelte meno razionali di quanto siamo disposti ad ammettere. E questo sono le scienze cognitive a dircelo, esperimenti alla mano. Quello che non si sa ancora bene è se, e nel caso come, certi odori possano influenzare attivamente alcuni nostri comportamenti – in verità qui siamo ancora più sul mistico che sul reale. I pochi studi disponibili mancano spesso di rigore sufficiente perché siano davvero attendibili, è facile pensare che il contesto e elementi di suggestione psicologica – come del resto in molti altri casi – facciano la loro parte. Per capirci: in una sistuazione in cui mi sento ascoltato e accudito come cliente sicuramente sarò più rilassato e ben disposto; in tale contesto un leggero aroma x nell’aria sarà facilmente percepito come un’aggiunta originale e piacevole. Alla fine comprerò qualcosa. Questo significa che l’aroma x mi ha influenzato nell’acquisto? Magari ha contribuito, ma difficile darlo per certo. Nulla di male, basta esserne consapevoli.
Bonus
Smellwalking, ovvero passeggiate olfattive. Fare caso agli odori intorno a noi ci rende più ricettivi e presenti al nostro naso. Il respiro rallenta e si fa più profondo, una via verso una maggiore consapevolezza del nostro corpo e dello spazio in cui ci muoviamo.
Esplorare la città, le vie che percorriamo ogni giorno, annusandone angoli e vicoli è una fonte di sorprese. Pioniera di queste esplorazioni urbane, raccolte nel blog Smell and the city e nel libro Urban smellscapes, è stata Victoria Henshaw. Tra l’altro, una mappa olfattiva della città permette, per esempio, di progettare spazi urbani più vivibili tenendo conto degli odori che li caratterizzano. Forse è proprio questo il primo passo da seguire, per non farci semplicemente investire dagli odori, ma annusarli al tempo del nostro respiro.
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