La fabbrica di corpi

Di cadaveri e cose un poco macabre

 

Memento mori di Max Ernst,  Et le papillon se mettent a chanter, 1929 Stadel verein. Credit: VG Bild-Kunst Foto: U.Edelmann

Memento mori di Max Ernst, Et le papillon se mettent a chanter, 1929 Stadel verein.
Credit: VG Bild-Kunst Foto: U.Edelmann

Nel 2008 i riti popolari dell’America Latina per celebrare i morti sono stati inseriti dall’Unesco nel patrimonio immateriale dell’umanità. Che odore ha la morte? Probabilmente per ognuno di noi ha un odore diverso…

Siamo in periodo di cose lugubri e feste dei morti che forse un po’ ci consolano e un po’ ci fanno sdrammatizzare uno degli eventi più difficili da elaborare. E quindi sdrammatizziamo.

Una ricerca pubblicata lo scorso settembre sulla rivista scientifica PlosOne, identifica cinque componenti caratteristici dei corpi umani in decomposizione. Lo studio è stato condotto in Belgio nel laboratorio di tossicologia forense dell’università di Leuven guidato dalla chimica Eva Cuypers. La ricerca è iniziata nel 2010 quando il gruppo nazionale per l’identificazione delle vittime di disastri ha chiesto ai ricercatori un aiuto: avevano bisogno di metodi – e odori – più accurati per addestrare i propri cani nella ricerca dei cadaveri. È possibile isolare molecole caratteristiche solo degli odori dei corpi umani e non di altri animali?

Durante la ricerca di corpi gli investigatori sono aiutati da cani addestrati, che con il loro fiuto riescono a trovare i cadaveri. Tuttavia anche per il fine olfatto dei segugi questo può essere un compito difficile. E succede infatti che ogni tanto cani addestrati con molecole sintetiche non siano poi in grado di riconoscere i cadaveri veri. Per addestrarli al meglio sono necessari odori molto simili a quelli che poi dovranno davvero individuare, di solito cadaverina e putrescina, marcatori di decomposizione. Ma queste sono molecole liberate dalla maggiorparte degli animali, mentre più utile sarebbe conoscere odori caratteristici dell’uomo. In questo ambito le ricerche vanno avanti da molti anni vista la sua utilità. Certo, perché a molti potrà sembrare una cosa raccapricciante ma, se in seguito a un omicidio o un disastro naturale ci sono dei corpi che non si trovano, i familiari delle vittime e la polizia hanno tutte le ragioni per volerli ritrovare il prima possibile.

 

117418-md 117428-mdFesta per i morti in America Latina.
via Internazionale

In questo studio i ricercatori hanno analizzato campioni di 26 carcasse di diversi animali e di sei cadaveri umani, tenuti in laboratorio nelle stesse condizioni controllate per poter confrontare le molecole sviluppate nel corso del tempo. I campioni umani (da donazioni anonime) provenivano da autopsie fatte presso l’istituto di medicina forense dell’ospedale universitario di Leuven. Gli scienziati hanno conservato i tessuti in vasi di vetro chiusi con tappi a vite di metallo che permette il ricambio di aria all’interno del contenitore. I tappi avevano dei buchi richiudibili da cui hanno potuto prelevare campioni di aria a intervalli di tempo regolari e analizzarneil disfacimento.

Nel corso dei sei mesi di analisi sono stati isolati 452 composti organici. La maggiorparte di questi, come i composti solforati, sono comuni al processo di decomposione di numerose carcasse. Procedendo con le analisi e confrontando le molecole isolate dai tessuti di diversi animali, i ricercatori ne hanno individuato otto caratteristiche di uomini e maiali. Ecco la lista per i curiosi:

  • 3-methylthio-1-propanol
  • methyl(methylthio)ethyl disulfide
  • diethyl disulfide
  • Pyridine
  • ethyl propionate
  • propyl propionate
  • propyl butyrate
  • ethyl pentanoate

 

Ricordiamo che spesso i maiali anche per questo tipo di ricerche sono un modello di riferimento perché hanno una composizione corporea vicina a quella dell’uomo: simili microbi intestinali, simile percentuale di grasso corporeo e simili pure i peli. I ricercatori hanno poi distinto da quelli dei maiali cinque esteri caratteristici solo dell’uomo:

-3-methylbutyl pentanoate

– 3-methylbutyl 3-methylbutyrate

– 3-methylbutyl 2-methylbutyrate

– butyl pentanoate

– propyl hexanoate

 

Ovviamente questo non risolve tutti i problemi di identificazione visto che il processo di decomposizione – ne avevamo già parlato – è piuttosto complesso e influenzato da numerosi fattori ambientali come temperatura, tipo di suolo, umidità, grado di immersione del corpo nel terreno, tanto per dirne alcuni. Questo studio è però un altro tassello per capire come funzionano i processi di decomposizione e, tra le tante possibili applicazioni, magari potrà aiutare a migliorare le tecniche di addestramento dei cani da ricerca.

 

Bonus

05.The-Body-Farm.car_1

Ve lo ricordate il bestseller di Patricia Cornwell del 1994 La fabbrica di corpi (The body farm)? Il libro si ispira direttamente a una delle vere ‘body farm”, come vengono spesso chiamate, presenti sul territorio degli Stati Uniti e usate a scopo di ricerca forense e dall’FBI. Quella a cui si è ispirata la Cornwell nello specifico è la facility di ricerca antropologica di Knoxville, università del Tennessee, avviata nel 1971 dal chimico e ricercatore William Bass. Il centro studia il processo di decomposizione dei corpi e basa il proprio lavoro principalmente sui corpi donati da persone e loro familiari che accettano di aderire a questo programma di ricerca. I risultati di questi studi sono come dicevamo importanti per la ricerca forense e la criminologia.

Vedi che succede a crescere con una mamma appassionata di gialli e triller ?:D

Olfatto e gusto a Istanbul

Ovvero Ecro 2015: il congresso europeo sui sensi chimici

Sono rientrata da poco e già riparto: dopo il peperoncino messicano e altre delizie di cui pure vi parlerò prossimamente, vado ora al congresso della European Chemoreception Research Organization (Ecro) che quest’anno si svolge a Istanbul dall’ uno al cinque settembre.

Ecro2015

Nel frattempo in attesa di raccontarvi i dettagli, cercherò di darvi qualche anteprima e micro-aggiornamento sulla pagina fb e twitter 😉

a presto.

Bella di notte*

Sul perché la Petunia profuma quando gli altri dormono

 

Questo è un periodo bellissimo: rientro a casa a tarda sera mentre l’aria trasuda odori. Non sono più quelli freschi e frizzantini della primavera, questi sono odori di donna piena, odori caldi e un po’ sgualciti, inebriano e ti mettono a tuo agio. Cammino sotto il cielo lucido ancora azzurrino, ché qui il sole tramonta tardi, non vuole allontanarsi, come se sapesse cosa lascia: il profumo dei fiori notturni.

Alcuni fiori sbocciano in piena notte, nottambuli di professione adescano gli impollinatori che si muovono col favore delle ombre. Emettono il loro profumo secondo fasi precise, regolate dal ritmo circadiano e sincronizzate con le ore di veglia degli animali impollinatori. Senza di essi infatti queste piante non potrebbero riprodursi. Come siano regolati geneticamente questi meccanismi non è però ancora del tutto chiaro.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington (Seattle, USA) ha appena pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) uno studio che mostra come un gene responsabile del ritmo circadiano della petunia regola anche la produzione e il rilascio del suo profumo. I ricercatori del gruppo di Takato Imaizumi, hanno infatti scoperto che in Petunia hybrida il gene phLHY (Late Elongated Hypocotyl), coinvolto nella regolazione dei ritmi circadiani della pianta, influenza l’espressione dei geni responsabili della produzione delle molecole odorose.

Il profumo di Petunia hybrida è dovuto principalmente a un gruppo di composti organici volatili, benzenoidi e fenilpropanoidi, derivati dalla fenilalanina. Questo processo di produzione e assemblaggio è regolato dal gene ODO1. I ricercatori hanno ora scoperto che il gene del ritmo circadiano phLHY è attivo soprattutto al mattino e inibisce l’attivazione di ODO1, e quindi la produzione di profumo. Quando di notte l’attività di phLHY diminuisce, ODO1 viene disinibito e il fiore rilascia il suo odore. Siccome questi due geni sono presenti in quasi tutte le piante con fiori, gli scienziati pensano di estendere la loro ricerca per capire se questo meccanismo valga in generale anche per le altre piante.

 

Avevo preso una pianta di petunie nere, black velvet, proprio qualche tempo fa e l’avevo messa senza pensarci troppo sul comò in camera da letto. D’altra parte sono anch’io un po’ un animale notturno.

 

 

Photo credit / source: online.wsj.com

Photo credit / source: online.wsj.com

 

 

* Nota: Il titolo è liberamente ispirato, Bella di notte è comunque un fiore notturno, ma non è una petunia.

 

Bonus

Una stretta di mano per annusarsi meglio

Credit: wikipedia

Credit: wikipedia

 

Nel mondo animale usa darsi una sniffata reciproca per capire come butta. Noi umani però siamo in questo senso un po’ più ritrosi e di solito non ci avviciniamo a una persona appena conosciuta annusandola platealmente; o, se lo facciamo, non lo diamo a vedere – ché ci pigliano subito per matti. Cosa facciamo invece? Ci presentiamo stringendoci la mano, e poi ce la annusiamo.

Il gruppo di ricerca di Noam Sobel, del Weizmann Institute, in Israele, ha recentemente pubblicato sulla rivista scientifica eLife uno studio che suggerisce un comportamento stereotipato anche in noi umani quando conosciamo una persona nuova: ci annusiamo la mano dopo avergliela stretta. Quello di portarsi le mani al viso e tocchicciarsi naso, bocca e zone limitrofe fa parte di un repertorio di gesti che compiamo senza pensarci. Il punto era capire se questi gesti siano in qualche modo associati anche alla percezione di odori e come.

Alcune molecole odorose si trasferiscono di mano in mano

I ricercatori erano interessati a capire se e come gli odori siano coinvolti nel comportamento umano. La stretta di mano è in numerose culture un comportamento standard usato quando ci si presenta, hanno perciò studiato questo comportamento in relazione agli odori in un gruppo di volontari. Per prima cosa i ricercatori si sono chiesti: è possibile trasferire molecole odorose dalla mano di una persona a quella dell’altra durante una stretta di mano? Per verificarlo gli scienziati hanno fatto un primo esperimento: ogni volontario viene accolto e fatto sedere da solo in una stanza in laboratorio, dopo qualche minuto lo sperimentatore entra indossando dei guanti (quelli blu chirurgici) e si presenta stringendo la mano del volontario. I guanti vengono poi analizzati confrontando quelli di controllo, che non hanno stretto nessuna mano, quindi puliti, con quelli che invece hanno stretto la mano del volontario. Analizzando le molecole presenti sui guanti con gascromatografo e spettrometro di massa, i ricercatori hanno identificato tre molecole presenti solo sui guanti della “stretta di mano” per tutti e dieci i volontari di questo test. Le tre molecole identificate erano già note per essere attive come segnali odorosi nel mondo animale: lo squalene, molecola attiva anche nei cani e nei ratti; l’acido esadecanoico (acido palmitico), noto per essere attiva nei mammiferi e negli insetti; il geranil-acetone, presente nelle secrezioni umane e attivo anche negli insetti. Attenzione, questo non significa direttamente che queste tre molecole funzionano nell’uomo come negli altri animali, mica è detto, magari sì ma magari no, va dimostrato. Questo risultato però ha confermato che il trasferimento di molecole odorose dalla mano di una persona a quella di un’altra attraverso la stretta di mano è possibile.

Tutti ci annusiamo le mani

A questo punto gli scienziati si sono chiesti se esista una qualche relazione tra l’azione della stretta di mano e l’annusarsi le mani. Per questo esperimento è stato preso un campione più ampio di persone, 153 volontari di età media intorno ai 34 anni, maschi e femmine.

Anche questa volta i volontari aspettano soli in una stanza di laboratorio dove è stata nascosta una telecamera*. Dopo tre minuti da soli i soggetti ricevono la breve visita di un membro del laboratorio che in 20 secondi li saluta stringendo loro la mano, oppure no, e poi esce di nuovo. I ricercatori hanno osservato grazie ai filmati il comportamento dei volontari prima e dopo la stretta di mano misurando il tempo che ognuno di loro passava toccandosi il naso o l’area della faccia vicina. Hanno quindi confrontato i tempi tra i due gruppi di persone, quelli che avevano ricevuto la stretta di mano dallo sperimentatore e quelli, come controllo, che avevano avuto solo una comunicazione verbale.

Le analisi dei risultati hanno mostrato che il nostro comportamento “normale” già di base è quello di toccarci spesso il viso e il naso. La cosa interessante è che la frequenza di questo comportamento aumenta in modo significativo dopo aver stretto la mano a qualcuno dello stesso sesso. Come ulteriore controllo per verificare un coinvolgimento reale dell’olfatto in questo comportamento ed escludere movimenti casuali delle mani, i ricercatori hanno preso un campione aggiuntivo di persone (33 volontari) e monitorato anche il flusso di aria attraverso le narici – la forza delle sniffate per capirci. Hanno così verificato che il toccarsi il naso era associato effettivamente a sniffate più intense, ossia i volontari si stavano annusando attivamente le mani.

L'immagine fa vedere tre fotogrammi presi da un filmato e mostrano il prima-durante-dopo la stretta di mano. La figura sotto rappresenta a colori la frequenza con cui i volontari si sono toccati la faccia dopo aver incontrato lo sperimentatore con ("with handshake") e senza stretta di mano ('no handshake"). Il colore rosso indica un "toccarsi spesso" e blu "toccarsi meno o per niente". Fonte: Idan Frumin et al. eLife Sciences 2015;4:e05154

L’immagine fa vedere tre fotogrammi presi da uno dei filmati e mostra il prima-durante-dopo la stretta di mano. La figura sotto rappresenta a colori la frequenza con cui i volontari si sono toccati la faccia dopo aver incontrato lo sperimentatore, con (“with handshake”) e senza stretta di mano (‘no handshake”). Il colore rosso indica un “toccarsi spesso” e blu “toccarsi meno o per niente”.
Fonte: Idan Frumin et al. eLife Sciences 2015;4:e05154


Ma perché tra persone dello stesso sesso? Sembra controintuitiva come cosa ma, bisogna ricordare, molti comportamenti sociali, e stereotipati negli altri animali, non riguardano solo le relazioni a fini riproduttivi. Numerosi comportamenti sociali servono a stabilire e/o a conoscere gerarchie e rapporti di dominanza per esempio, e sono comunque influenzate dal contesto. I ricercatori di questo studio infatti si chiedono come le loro osservazioni potrebbero essere influenzate e magari modificate da contesti “più naturali”. Rimane comunque un’osservazione interessante e suggerisce come gli odori anche nell’uomo possano avere un ruolo più imporante di quanto pensato fino ad ora nella comunicazione non verbale.

Certo da qui a poter parlare di feromoni e odori che agiscono a livello “subliminale” anche nell’uomo ce ne passa e su questo punto non ci sono ancora conferme scientifiche. Si tratta di continuare gli studi e, come ha spiegato bene in un recente articolo sui feromoni lo scienziato Tristam Wyatt, ricordarsi di applicare negli studi sull’uomo lo stesso rigore di analisi applicato per gli studi sugli altri animali. Solo così si possono ridurre errori di misurazione e bias psicologici e statistici nell’interpretazione e analisi dei dati.

Ora dai però, via quelle mani dalla faccia 😀

 

*Tutti i volontari hanno firmato un consenso informato prima dello studio e dopo hanno deciso liberamente se acconsentire all’uso dei filmati a scopi scientifici o far distruggere le registrazioni.

 

Bonus

 

Bella, ma ha una chioma che stende

Ovvero che odore ha una cometa?

 

La cometa "Chury" fotografata il 26 settembre 2014 da una distanza di 26.3km. Fonte: ESA/Rosetta/NAVCAM

La cometa “Chury” fotografata il 26 settembre 2014 da una distanza di 26.3km. Fonte: ESA/Rosetta/NAVCAM

 

Nel corso della storia sono state oggetto di curiosità e timore, spesso considerate premonitrici di epidemie o di calamità naturali, per lungo tempo scienziati, intellettuali e gente comune hanno interpretato la loro apparizione nei modi più originali, attribuendo loro ogni tipo di significato mistico, magico e religioso. Fu d’altra parte una cometa, nella tradizione cristiana, a guidare i re magi.

Galileo – tipo tosto, meglio non contraddirlo – ebbe più di un diverbio sulla natura delle comete: era convinto, sbagliando, che fossero semplici effetti ottici e iridescenze generati dalla riflessione dei raggi solari. Nel 1618 ne furono avvistate ben tre e interpretate – alla luce della peste e delle sanginose guerre abbattutesi sull’Europa – come portatrici di presagi infausti. Alcuni formularono diverse ipotesi sulla loro origine. Tra questi c’era anche il gesuita Orazio Grassi, il quale, convinto si trattasse di veri e propri corpi celesti in orbita, espose la sua teoria ne la Libra Astronomica e subito si beccò la replica pungente di Galileo. Il Saggiatore, dal nome del bilancino di precisione usato dagli orefici e scelto in contrapposizione sarcastica alla rozza bilancia – libbra – di Grassi, è una delle opere più importanti di Galileo per la forza espressiva della sua lingua, un italiano comprensibile a tutti invece del latino, e per l’esposizione del metodo scientifico: la spiegazione di un fenomeno va accompagnata con una serie di osservazioni coerenti e riproducibili, e supportata da fatti e misure anch’essi riproducibili. Non si può enunciare nessuna teoria se non è supportata dalla prova dei fatti.

A distanza di secoli e di ricerche scientifiche oggi sappiamo come è fatta una cometa. Non solo, possiamo porci anche un’altra domanda che forse avrebbe fatto sobbalzare lo stesso Galileo, ma alla quale gli scienziati di oggi possono dare una risposta, scientifica: che odore ha una cometa?

Beh, diciamo così, annusarla probabilmente non è romantico come guardarla in cielo, ma ha carattere: una stalla per cavalli, o meglio pipì di cavallo (colpa dell’ammoniaca), uova marce (per la presenza di acido solfidrico) e un opprimente tanfo di formaldeide. Metteteci poi un cuore amarognolo tipo mandorla derivante dall’acido cianidrico e delle note di testa a base di diossido di zolfo, con quell’aroma un po’ di aceto, la nota alcolica del metanolo e il vago sentore dolciastro del solfuro di carbonio. Voilà, eau de comète.

Pensare poi a come gli scienziati ci sono arrivati a queste informazioni è pure affascinante, e a suo modo poetico: un progetto europeo spaziale, in tutti i sensi, ha permesso di lanciare in orbita una sonda, Rosetta, che lo scorso 6 agosto ha raggiunto la cometa Churyumov-Gerasimenko, “Chury”. Il sensore ROSINA (Rosetta Orbiter Sensor for Ion and Neutral Analysis) è dotato di due spettrometri di massa e sta sniffando in lungo e in largo la chioma della cometa. Dall’analisi delle melecole presenti è possibile capire la sua composizione chimica e quindi anche il suo odore. Le molecole odorose sono a concentrazioni molto basse e si trovano sospese in un misto di acqua, anidride carbonica e monossido di carbonio. Si trova a 400 milioni di chilometri di distanza dal sole eppure la chioma della cometa ne è ricca, cosa sorprendente per i ricercatori perché a quelle distanze di solito le sostanze più volatili sublimano senza lasciar traccia. Dalla composizione di questi mix, odorosi e non, sarà possibile capire meglio come si è formato il sistema solare, e quindi anche la Terra. Con Rosetta potremo seguire per la prima volta l’evoluzione di una cometa mentre si avvicina al sole e studiare come si sviluppa la sua chioma, quali gas e polveri emetterà e come.

E chissà quali altre puzzette sprigionerà. Non è poetico?

 

 

Bonus

 

Pulsano pulsar con forti pulsioni:

ecco a voi quasar, quasi stelle vive:

collassano assai dense, per pressioni

che imbucano per sempre, in nere rive:

 

così  forse è: facelle in evezioni,

sciami di nebulose fuggitive,

supergiganti, code in librazioni,

variabili cefeidi recidive:

 

protuberanze, e getti, e radiazioni

corpuscolari, eclissi comprensive

di pieni pianetini e pianetoni,

aurore ipercompresse in somme stive:

 

oh, chiare notti gravitazionali,

mie fragili scintille zodiacali!

(Edoardo Sanguineti, Sonetto astrale, 10 ottobre 2008).

Che fiuto!

Quanti odori sappiamo distinguere?

 

parte4 (28)-700x© Michele dell’Utri, Esxence 2014, La Triennale Milano

La scorsa settimana, mentre mi immergevo in un tripudio di odori – ero a Esxence, evento di profumeria artistica – venivano pubblicati, manco a dirlo, i risultati di uno studio sulla “sensibilità” dell’olfatto umano. Quanti sono gli odori che una persona comune può distinguere? Questa era una delle tante domande che mi facevo mentre le mie narici saltavano da una mouillette all’altra. Certo, mi chidevo anche quanto possa essere fino l’olfatto di un “naso”, cioè di una persona che ha costruito il proprio universo creativo attorno agli odori e che è allenata e preparata a riconoscere e distinguere i profumi (non scordiamoci che l’apprendimento in questo caso è importantissimo e l’olfatto diventa tanto più acuto quanto più lo si allena). Ma, appurato che un “naso” in termini di abilità olfattive è un supereroe rispetto a un comune individuo, in media, uno quanti odori può distinguere?
Fino a oggi le stime ci suggerivano una cifra intorno ai 10.000 odori. Mica male direte, ma secondo lo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Science dai ricercatori della Rockefeller Univeristy di New York siamo ben oltre: 1 trilione. Come minimo.
Come si fa a stabilire quanti stimoli riusciamo a discriminare? Innanizitutto bisogna avere un’idea dell’ordine di grandezza, ossia avere una stima dello spettro a disposizione: qual è lo stimolo minimo percepibile? E quello massimo? Che poi, minimo e massimo di cosa? Intensità? Ampiezza? Frequenza?
Nel caso di vista e udito, e non è stata una bazzecola, alla fine si è capito: i colori che l’occhio umano può percepire, quelli detti appunto dello “spettro visibile”, hanno lunghezze d’onda comprese tra i 390 e i 700 nm, lo spettro cioè compreso tra gli infrarossi e gli ultravioletti; nel caso dell’udito siamo in frequenze comprese tra i 20 e i 20.000 Hz. E gli odori? Intanto qui c’è un primo problema perché ancora non è chiaro come classificare gli odori e in base a cosa “misurarli”. Per stabilire un range di sensibilità bisogna come minimo sapere cosa misurare. Il problema con le molecole chimiche, che costituiscono un odore, è che questa classificazione non è semplice e non c’è uno “spettro continuo” che ci permette di muoverci, e orientarci, gradualmente da un odore all’altro. Con le frequenze acustiche, per esempio, possiamo seguire un metro immaginario lungo cui si trovano in crescendo tutte le frequenze dalla più bassa alla più alta: scorrendolo sapremo che aumentando la frequenza il suono diverrà man mano più acuto. In modo simile, ma con le lunghezze d’onda, abbiamo una corrispondenza tra una specifica lunghezza d’onda e un colore, e la transizione da una sfumatura all’altra avviene secondo un continuum. Nel caso dell’olfatto non è possibile rifarsi a uno schema di questo tipo perché procede a salti: molecole molto simili, addirittura due enantiomeri della stessa molecola, possono dare due odori completamente diversi, pensate a (R)-(+)- carvone (semi di cumino) e (S)-(-)-carvone (menta). Inoltre, gli stimoli olfattivi sono quasi sempre un mix di odori con diverse componenti e caratteristiche.

 

F3.large.modCredit: Bushid C. et Al., Science, 2014

Per i sitemi visivo e uditivo, i ricercatori hanno potuto stimare che l’uomo è in grado di distingure, rispettivamente, tra i 2.3 e i 7.5 milioni di colori, e circa 340.000 suoni (toni più precisamente). Per fare questo calcolo con l’olfatto serviva una strategia diversa, con qualche calcolo in più e dei modelli matematici.
Le stime più accurate disponibili ad oggi si rifacevano principalmente a uno studio del 1927: si presero in considerazione quattro sensazioni olfattive-base per le quali l’uomo fosse in grado con sufficiente affidabilità di distinguere tutte le proprietà e valutarle in una scala di nove punti. Fu così stimato il numero di possibili sensazioni olfattive: 94, ossia 6561, successivamente arrotondato, in seguito a ulteriori studi, a 10.000 odori.
Si trattava di un valore approssimativo, ecco perché i ricercatori del Rockefeller hanno pensato questa volta di affinare la tecnica: hanno valutato la capacità distinguere alcuni mix di odori, diversi per un numero fissato di componenti, e fino a che punto potevano essere distinti l’uno dall’altro.
Per lo studio sono stati presi in esame 128 odori, già testati per essere in grado di contribuire al mix finale nella stessa proporzione: nessun odore, quindi, prevalicava sugli altri. A partire da questi sono stati creati tre mix, sempre più complessi: 10, 20, e 30 odori. Ne hanno poi create diverse “gradazioni” in base alla percentuale di sovrapposizione, ossia di odori in comune. Gli odori sono stati combinati in modo da essere nello stesso rapporto e permettere di calcolare il numero esatto di combinazioni possibili, cioè 128 odori possono essere combinati in modo da ottenere:
– 2.27 x 1014 mix di 10 odori
– 1.20 x 1023 mix di 20 odori
– 1.54 x 1029 mix di 30 odori
In ogni serie la differenza tra i singoli mix era solo il numero di odori in comune con gli altri. Nei test le persone (26 soggetti + 2 esclusi dall’analisi) dovevano discriminare, per esempio, tra 3 mix di 10 odori: due erano identici mentre il terzo poteva essere uguale al 30% al 60% al 90%. Ovviamente più due mix sono simili tra loro più è difficile distinguerli. È in questo modo che si misura la “risoluzione” del senso dell’olfatto.
Circa la metà dei soggetti è stata in grado di discriminare mix simili fino al 75%, alcuni anche tra il 75% e il 90%, nessuno è stato capace di discriminare due mix simili al 90%. Analizzando anche la capacità di discriminare singoli composti, per escludere bias dovuti alle interazioni degli odori nei mix, la capacità di discriminare gli odori è risultata al 54%. Facendo analisi più accurate alla fine i ricercatori sono giunti al seguente risultato: nella maggiorparte dei casi i soggetti erano in grado di distinguere due mix sovrapposti al 51.17%. Tradotto, l’umano medio è in grado di distinguere almeno 1 trilione di mix di 30 odori. Mai sottovalutarsi.

Evasioni olfattive

a Esxence 2014

profumo

E quindi ci siamo, tra un paio di giorni la Triennale di Milano sarà un tripudio di profumi e odori: giovedì 20 marzo inizia Esxence 2014, un evento di profumeria artistica rivolto non solo agli esperti, ma a tutto il pubblico curioso e sniffarolo.

Il programma dei quattro giorni di fiera è ricco di appuntamenti interessanti: workshop, conferenze, degustazioni e, ovviamente, lo spazio espositivo dove poter “toccare con naso” le novità della profumeria artistica. Io mi sono già fatta una lista di appuntamenti da non perdere:

  • La chimica nei profumi a cura dell’Osmotheque
  • I giardini di saffo, il libro del Prof. Giuseppe Squillace sarà presentato giovedì pomeriggio. Dall’intro:

Strettamente collegate con i raffinatissimi regni d’Egitto, Lidia e Persia, e con terre lontane come Arabia e India, le sostanze aromatiche furono per i Greci elemento di offerta agli dèi prima di diventare parte della toeletta quotidiana. Il volume ricostruisce un universo di spezie, ma soprattutto presenta una gamma di oli fragranti citati da autori come Saffo, Anacreonte, Erodoto e Teofrasto, creati da noti “nasi”, preservati da trucchi e segreti di mestiere.

  • Conversazione sulle immagini: Ermano Picco, de La gardenia nell’occhiello dialoga con l’artista Mustafa Sabbagh (il visionario del progetto nu_be)
  • Gli odori dell’Arabia Saudita con Nicola Pozzani
  • La cultura olfattiva dell’estremo oriente con Chi Wai Tang, di Fragrance Moment
  • Workshop a cura di Mouillettes &Co con Maria Grazia Fornasier e Emanuela Rupi

E, tra un aperitivo profumato e una degustazione di Amarone, davvero tanti incontri per avvicinarsi al mondo di odori e profumi e parlare con diversi esperti del settore. Sul sito trovate il calendario completo.

In più, ci saranno altri eventi in parallelo tra cui l’installazione [IP]01-an illustrator, a perfumer:

Un’installazione di 6 stampe e 6 fragranze, per stimolare contemporaneamente olfatto e vista, uno l’interpretazione dell’altro: Cecile Zarokian, giovane e talentuosa maître parfumeur, e Matthieu Appriou, illustratore, hanno collaborato e si sono influenzati a vicenda, scambiandosi brief e creatività, per realizzare 3 fragranze che hanno ispirato 3 raffigurazioni visive e 3 immagini che sono state racchiuse nelle note olfattive di 3 profumi

E, sabato 22 marzo alle 18.30 al cinema Ariosto,  l’anteprima del documentario The nose, di Paul Rigter, su Alessandro Gualtieri, il Nasomatto.

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E niente, ci vediamo lì, curiosi e profumati 😀

Esxence 2014

Non sono particolarmente fissata con le ricorrenze devo dire, ma in questo caso mi sembra una piacevole congiuntura di eventi. Oggi Il senso perfetto compie un anno, letteralmente volato, e mi piace che a coronamento di questo primo anno di attività sia diventato Blog-friend di Esxence, uno dei principali eventi italiani dedicati alla profumeria artistica.

 

ex_adv2014kosmetica_230x140-2_36Tributo al Naso, opera in gesso di Marco Chiesa per Esxence 2014

 

Tra l’altro, Esxence 2014 è rinnovato e avrà una nuova location, strepitosa: la Triennale di Milano. E quindi sarò pronta a immergermi, a narici spalancate, dal 20 al 23 marzo in profumi e odori nuovi e non ancora esplorati. E ve lo racconterò. È un evento che mi piace perché oltre a poter conoscere da vicino i profumieri e le loro creazioni, sarà possibile seguire workshop e interventi che trattano il mondo dei profumi a trecentosessanta gradi: fragranze, ma anche usi, tradizioni, marketing olfattivo e impatto del mondo olfattivo su cultura e società. E mi  piace che l’accesso sia libero e aperto al pubblico per tutti e quattro i giorni: tutti possono avvicinarsi a questo mondo un po’ incantato e suggestivo. Pronti?

 

Odore di guai – Smell of trouble

Su come i recettori TAARs aiutano i topi a riconoscere la pipì di puma e a darsela a gambe.

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L’olfatto è alla base della comunicazione di molti animali. I messaggi odorosi servono, tra le altre cose, a orientarsi nello spazio, trasmettere la propria disponibilità a potenziali partner, trovare cibo, delimitare il territorio e captare pericoli e la presenza di possibili predatori. Una giungla di molecole odorose che stimolano, nel topo, un corredo di circa 1100 recettori olfattivi (nell’uomo sono circa 350, ma fanno comunque la loro parte).

Attenzione, di solito non c’e una corrispondenza diretta tra un singolo odore e uno specifico recettore, la faccenda è più complicata. Funziona un po’ come un codice combinatorio: ogni recettore può riconoscere più molecole ma con diversa affinità, cioè si “lega” ad alcune meglio che ad altre; inoltre, ogni molecola può legarsi, con lo stesso principio, a più recettori. Perciò ogni odore attiverà una specifica, o più o meno specifica, combinazione di recettori olfattivi, dai quali partirà la sensazione dell’odore. Poi, siccome non è mai tutto lineare, ci sono anche alcuni recettori molto specifici che invece “riconoscono” solo specifiche molecole, mentre altri possiamo definirli più generici.  Nota importante: il fatto che si conoscano alcuni recettori olfattivi e i geni che li codificano non significa necessariamente che si conoscano anche le molecole in grado di legarsi a essi. Anzi per moltissimi recettori non si sa ancora a quali molecole si leghi, e si chiamano per questo “recettori orfani”.

Infatti, una parte delle ricerche in corso cerca di scoprire quali molecole attivano specifici recettori, cioè mira a “de-orfanizzare” quei recettori. Un po’ come trovarsi con un mazzo infinito di chiavi di fronte una serie di porte ma non sapere cosa apre cosa – divertimento.

Questo lavoro di ricerca dà però anche delle soddisfazioni, come nel caso dei recettori TAARs.

I TAARs (Trace Amine-Associated Receptors) sono una classe di recettori olfattivi identificata nel 2006. E quest’anno, la rivista scientifica Nature ha pubblicato uno studio, presentato anche al recente meeting dell’ECRO (European Chemoreception Research Organization),  che mostra il coinvolgimento di questi recettori nel riconoscimento di sostanze odorose di pericolo. Nello specifico, gli esperimenti di questa ricerca hanno dimostrato che, nei topi, i recettori TAARs sono responsabili della ricezione di amine volatili. Queste molecole sono presenti nell’urina di deversi predatori felini e inducono nei roditori reazioni di fuga ed evitamento. I topi normali, con questo recettore, di fronte per esempio a pipì di lince o di puma (usate in questi esperimenti) girano al largo o assumono il tipico comportamento “di paura”, cioè rimangono immobili – terrorizzati diremmo per usare un analogia al comportamento umano (freezing); se invece i topi sono modificati geneticamente e privati di questi recettori, rimangono indifferenti a quell’odore.

Pur essendo solo una manciata (15 nel topo, di cui 14 quelli olfattivi; 17 nel ratto; 6 nell’uomo) rispetto all’elevato numero degli altri geni per i recettori olfattivi  i TAARs assolvono funzioni decisamente importanti per la sopravvivenza delle specie, e questo suggerisce perché nei vertebrati sono evolutivamente così ben conservati. I primi studi avevano mostrato che alcune amine sono capaci di attivare questi recettori: TAAR1, per esempio, viene attivato dalla 2-feniletilamina (PEA) ed è l’unico che non è espresso nell’epitelio olfattivo ma nel cervello dove ha probabilmente un ruolo nel rilascio del neurotrasmettitore dopamina. Procedendo con le ricerche gli scienziati hanno poi trovato che l’isoamilamina attiva il recettore TAAR3, la trimetilamina TAAR5 e, di nuovo, la fenieltilamina attiva anche i TAAR4. La domanda a questo punto era: a cosa servono questi recettori? Che tipo di odori riconoscono?

Negli esperimenti pubblicati quest’anno il gruppo di Tom Bozza ha dimostrato che i glomeruli corrispondenti ai recettori TAAR4 non solo rispondono a feniletilamina e isofeniletilamina, ma anche alla pipì di puma, e che senza questi recettori non ne sono capaci. Dal momento che la feniletilamina è uno dei principali componenti dell’urina del felino, lo step successivo è stato fare dei test comportamentali per vedere come due gruppi di topi, uno normale e l’altro senza il recettore TAAR4,  reagivano a diverse pipì e a altri odori di controllo. I risultati come dicevo suggeriscono che i recettori TAARs sono importanti per riconoscere la presenza di predatori, idea supportata anche dal fatto che si attivano a concentrazioni dell’odore molto basse, ovviamente per dare l’allarme devono essere efficienti. È inoltre interessante che svolgano in modo così selettivo una funzione di rintracciamento “a distanza”, quando spesso la percezione di segnali di questo tipo, veicolati da odori e feromoni, ha bisogno di un contatto diretto (avete presente il muso del vostro cane dietro alle chiappe di un altro?), ma questa è un’altra storia…

Per approfondire:

Dewan, A., Pacifico, R, Zhan, R., Rinberg, D. and Bozza, T. (2013) Nonredundant coding of aversive odours in the mouse olfactory system. Nature. 497, 486–489.

Pacifico, R., Dewan, A., Cawley, D., Guo, C., and Bozza, T. (2012). An Olfactory Subsystem that Mediates High-Sensitivity Detection of Volatile Amines. Cell Reports 2(1) 76-88 http://dx.doi.org/10.1016/j.celrep.2012.06.006.

S. D. Liberles, L. B. Buck (2006). A second class of chemosensory receptors in the olfactory epithelium. Nature 442, 645-650 .

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Postumi congressuali

Come vi accennavo, il programma del recente congresso della European Chemoreception Research Organization (ECRO) era davvero ricco, e soprattutto di qualità. Quest’anno buona parte degli interventi e dei poster riguardava la fisiologia dell’olfatto, gli studi di genetica e biologia molecolare per capire in base a cosa il gene per un determinato recettore olfattivo viene espresso, studi sul gusto e, in particolare, sui recettori per il salato. Questo in linea davvero molto generale, la maggior parte delle ricerche presentate era di ricerca di base, anche perché è davvero molto quello che ancora non si sa della fisiologia e della genetica dell’olfatto. Considerando la mole di dati e informazioni, ho pensato di fare una piccola selezione proponendovi nei prossimi post, più o meno uno studio per argomento: olfatto, feromoni, gusto. Intanto, come riscaldamento, vi lascio un video della TEDx conference sui sensi che si è tenuta prima dell’apertura del congresso. Donald Wilson, professore alla Child and Adolescent Psychiatry New York University School of Medicine, studia da anni in che modo il cervello memorizza e discrimina gli odori e ne parla in Learning to smell: